Birmania, l'esercito spara al funerale di una delle vittime. Oltre 400 morti dall'inizio delle proteste

Birmania, l'esercito spara al funerale di una delle vittime. Oltre 400 morti dall'inizio delle proteste
Birmania, l'esercito spara al funerale di una delle vittime. Oltre 400 morti dall'inizio delle proteste
Domenica 28 Marzo 2021, 15:24 - Ultimo agg. 20:56
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In Birmania non si placa la sanguinosa repressione delle proteste contro il golpe del primo febbraio. All'indomani di quello che è stato definito il giorno della vergogna, con oltre 100 persone uccise, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla in lutto al funerale di una delle vittime di ieri. Lo riferiscono testimoni citati dal Guardian.

Non ci sono per ora segnalazioni di morti al funerale nella città di Bago, vicino a Yangon. «Mentre cantavamo la canzone della rivoluzione, le forze di sicurezza sono arrivate e hanno sparato, noi siamo scappati», ha raccontato una donna di nome Aye.

Due persone sono state invece uccise oggi durante le proteste in diversi incidenti in altre città. 

Il giorno della vergogna

Ieri gli incidenti hanno coinvolto almeno 14 città della Birmania, portando il bilancio della repressione armata a oltre 400 vittime. Un massacro arrivato poche ore dopo le minacce della tv statale contro chiunque manifestasse, mentre nella capitale Naypyidaw un esercito sempre più isolato a livello internazionale inscenava un'imponente parata annuale che, in un Paese ormai in fiamme, è il simbolo dell'universo alternativo in cui si muovono i generali.

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I proiettili dell'esercito hanno ucciso persino un bambino di 5 anni a Mandalay e una 13enne nella non lontana città di Meikhtila, mentre un bambino di un anno è stato ferito a un occhio da un proiettile di gomma. Il fatto che si contino morti in almeno 14 città, a cui si sommano precedenti vittime in ulteriori località, dà l'idea di quanto sia diffusa l'opposizione popolare al colpo di stato.

Il generale golpista Min Aung Hlaing ha tenuto un discorso di 30 minuti alle truppe, rinnovando l'impegno a tornare al voto dopo un anno ma anche definendo inaccettabili «atti di terrorismo che possono essere nocivi alla tranquillità e sicurezza dello Stato». Alla parata militare a Naypyidaw c'erano pochissime delegazioni straniere. Spiccava la presenza di quella cinese e di quella russa, capeggiata dal viceministro della Difesa Alexander Fomin. Le cancellerie occidentali hanno però declinato l'invito, condannando le uccisioni di oggi senza mezzi termini. L'ambasciata dell'Unione europea ha parlato di «giorno di terrore e disonore», definendo «atti indifendibili» le uccisioni di civili inermi. Su Twitter, l'ambasciatore americano ha condannato «l'orribile» massacro, rimarcando come le forze di sicurezza stiano uccidendo «le stesse persone che hanno giurato di proteggere».

L'impegno dei militari di tornare a elezioni al termine dello stato di emergenza di un anno appare sempre più una chimera, data la determinazione a difendere con la forza una presa del potere che ha stroncato un decennio di nascente democrazia, per non parlare delle accuse multiple contro l'ex leader del governo Aung San Suu Kyi. Fiaccata da intimidazioni giudiziarie e arresti, la stampa indipendente non esiste più: l'ultimo quotidiano privato ha chiuso pochi giorni fa. Con scioperi generali ancora attivi e l'economia nazionale in caduta libera, il generale Min Aung Hlaing si è mostrato finora immune alle pressioni internazionali, arroccandosi attorno al sostegno cinese e russo.

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