Brexit, la vittoria di Farage il tribuno anti-Europa

Brexit, la vittoria di Farage il tribuno anti-Europa
Venerdì 24 Giugno 2016, 14:59
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«Il genio dell'euroscetticismo è uscito dalla lampada». Nigel Farage, al suo solito, non ha risparmiato la lingua nelle ore in cui il referendum sulla Brexit decretava con il passare della notte l'addio della Gran Bretagna dall'Ue: per lui, l'obiettivo di una vita. E alla fine ha azzeccato persino la citazione storica. 

Leader controverso della destra populista, ma anche voce popolare di una certa Inghilterra profonda, Farage - difficile negarlo - è il vincitore morale della sfida suggellata dalle urne in un giorno, il 23 giugno 2016, destinato secondo lui a passare alla memoria come «un nuovo Independence Day» e come la fine della «dittatura di Bruxelles». 

Se a surfare l'onda verso Downing Street sarà, con ogni verosimiglianza, lo scapigliato Boris Johnson, conservatore
ribelle capace di portar via sotto il naso il partito di governo all'azzimato David Cameron, il più titolato a festeggiare, fra un pub e l'altro, non può essere che il tribuno dell'Ukip.

A 52 anni, Nigel Farage, inglese purosangue di Bromley, nel Kent, il cosiddetto giardino del sud d'Inghilterra, corona un quarto di secolo di slogan e di battaglie. Condotte dapprima fra la sua gente, poi nella tana del lupo del Parlamento di Strasburgo, dove è stato confermato sulla scia del trionfo elettorale delle Europee del 2014: e dove ha portato con sè un campionario di cravatte sgargianti molto british e il segno d'una retorica torrenziale quanto graffiante contro gli odiati «eurocrati». 

«Per me è stata una campagna elettorale durata 25 anni», ha scandito ieri da uno dei tanti palcoscenici su cui si è
esibito mentre lo spoglio delle schede lo spingeva a passare dall'iniziale prudenza alla più rumorosa esultanza. Entrato in politica da giovane nelle file del Partito Conservatore di Margaret Thatcher, dopo aver lavorato come broker e mediatore di commercio, Farage è stato un antesignano dell'euroscetticismo duro e puro. Nel 1992 abbandona i Tory per protesta contro la firma del Trattato di Maastricht da parte di John Major, successore di velluto della Lady di Ferro. E nel '93 co-fonda l'Ukip (Partito per l'Indipendenza del Regno Unito). Una formazione che presto trasforma in qualche modo in un 'one man show', ma che, dopo un primo flop nel 1994, riesce a far crescere - almeno in occasione delle elezioni proporzionali per l'Europarlamento - fino ad assurgere addirittura a prima forza
del Paese nel 2014. Exploit che non ripete con il sistema maggioritario, rimanendo ai margini della Camera dei Comuni di Westminster a dispetto di un 12-15% di consensi nazionali. 

Sposato due volte (la seconda con una tedesca, Kirsten), padre di 4 figli, sopravvissuto a una diagnosi di tumore e a un incidente aereo a bordo di un velivolo da turismo usato per la propaganda politica, non ha mai cessato di rivolgersi agli umori e talora ai malumori dei suoi connazionali, invocando da sempre l'uscita dall'Ue come premessa necessaria - in primo luogo - a un taglio drastico all'immigrazione. Ma non senza venire incontro alle recriminazioni sociali di aree depresse d'un Paese sempre più disuguale, a dispetto della crescita del Pil.

Tante le dichiarazioni razziste: tempo fa disse che l'aumento del traffico in Inghilterra fosse da imputare agli stranieri; mentre durante l'ultima campagna ha sbandierato un manifesto, nel quale si mostrava come baluardo contro una colonna di poveri profughi, che ha fatto gridare alla xenofobia e ad analogie con un poster nazista. Lui tira dritto e giura di non essere razzista: «Sono anni che mi demonizzano», è sbottato ieri. Nel referendum sull'Ue, la maggioranza degli inglesi non lo ha fatto.

 
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