Brexit, May in bilico assediata dai falchi: «Non votiamo l'intesa»

Brexit, May in bilico assediata dai falchi: «Non votiamo l'intesa»
Lunedì 11 Marzo 2019, 11:00 - Ultimo agg. 13:21
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LONDRA - La Brexit entra in un'altra settimana caldissima, che potrebbe essere decisiva per l'esito di tutto il processo ed anche per la sopravvivenza politica di Theresa May. La premier torna in scena con la sua proposta di accordo di fronte ai Comuni per il secondo tentativo di ratifica, in calendario martedì 12 dopo la bocciatura senza precedenti (230 voti sotto) di gennaio. E le previsioni, al di là d'un recupero parziale di consensi, restano al momento tutte contro di lei: sullo sfondo di voci che ricominciano, anzi, a metterne in discussione la poltrona. La sfida su quelle rassicurazioni «legalmente vincolanti» sul contestatissimo backstop, la clausola di salvaguardia del confine aperto irlandese, che la premier Tory britannica invocava per cercare di rimettere insieme la sua maggioranza, si è chiusa per ora con una beffa. Almeno nell'interpretazione d'oltremanica dell'offerta riesumata sul tavolo venerdì dal capo negoziatore europeo Michel Barnier di una via d'uscita valida per la sola Gran Bretagna e non per l'Irlanda del Nord, secondo uno schema già respinto in passato da Downing Street e che fa gridare allo scandalo in primis gli unionisti di Belfast. Quindi, se non spunta nulla di nuovo nelle prossime ore, il voto cruciale di martedì si profila su un contenuto sostanzialmente inalterato.
 
Anche a dispetto dei timori di quel salto nel buio legato a una secondo no che questa volta arriverebbe ad appena un paio di settimane dalla data limite del 29 marzo: fissata al momento sulla carta per l'uscita formale del Regno dall'Ue, con o senza accordo. Le speranze della premier sono affidate ai segnali di disponibilità che una parte dei dissidenti Tory di vario orientamento hanno lasciato trapelare nelle scorse settimane. E a qualche eventuale aiuto dalla sponda dei laburisti eletti in collegi elettorali pro-Leave, la cui dimensione rimane peraltro tutta da quantificare. Ma è ben arduo che possano bastare, tenuto conto dell'atteggiamento dell'ala più oltranzista dei brexiteer della maggioranza, tornata in queste ore in trincea e indisponibile (con l'eccezione forse di Boris Johnson e qualche altro) ad accettare persino il baratto evocato dai media fra un placet al compromesso May e l'ipotetico impegno dell'inquilina di Downing Street di piegarsi a indicare un termine esatto per le proprie dimissioni. Come conferma la lettera aperta affidata alle colonne dell'euroscettico Sunday Telegraph dall'ex viceministro Steve Baker, super falco del gruppo Conservatore, e Nigel Dodds, capogruppo degli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, che ribadiscono senza la minima concessione tutti i loro paletti a nome di almeno una quarantina di deputati. Il percorso imposto alla stessa premier dalla Camera prevede nell'eventualità di nuova bocciatura la messa ai voti mercoledì di un emendamento sì o no sul temutissimo no deal. E, in caso di un altro no, che l'aula possa poi dar mandato giovedì 14 al governo di chiedere all'Ue «un breve» slittamento oltre il 29 marzo.
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