Brexit, May rifà il governo e chiama i ministri pro Ue

Brexit, May rifà il governo e chiama i ministri pro Ue
di Cristina Marconi
Sabato 17 Novembre 2018, 08:00 - Ultimo agg. 12:22
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LONDRA - Mentre aumenta il numero di lettere di sfiducia nei confronti di Theresa May, la premier, forte del fatto che i frondisti faranno molta fatica a raggiungere i 159 voti parlamentari necessari per detronizzarla, ha portato a termine il rimpasto, spostando l'ago della bilancia nel governo a favore degli europeisti. Al posto del dimissionario Dominic Raab è stato nominato Stephen Barclay, figura junior che come ministro della Brexit avrà meno poteri del suo predecessore, mentre alle Pensioni è ricomparsa Amber Rudd, costretta a lasciare il suo posto al ministero degli Interni dallo scandalo del trattamento degli immigrati della generazione Windrush ad aprile e tornata a dare manforte alla May, alla quale è sempre stata leale. Dopo le giornate infuocate seguite all'approvazione, da parte del governo, dell'accordo con Bruxelles sulla Brexit, la premier ha potuto tirare un sospiro di sollievo, seppur minimo, dopo la decisione del ministro dell'Ambiente Michael Gove, euroscettico e influentissimo nel partito conservatore, di non dimettersi nonostante il rifiuto di farsi carico del dicastero della Brexit.
 
Ora i Brexiteers nel governo sono sei, contro una maggioranza di Remainers che permetterà alla premier di dormire sonni marginalmente più tranquilli in attesa dell'appuntamento più rischioso in assoluto, che è quello del passaggio parlamentare del testo di 585 pagine sull'uscita del Regno Unito dalla Ue. La premier, senza una maggioranza e dal 2017 costretta ad appoggiarsi sui voti degli unionisti irlandesi del Dup, che hanno rilasciato dichiarazioni di fuoco sull'accordo, non può contare neppure sui voti di almeno una settantina di deputati conservatori vicini agli euroscettici oltranzisti dell'Erg, European Research Group, guidato da Jacob Rees-Mogg, deputato che ha già consegnato la sua lettera di sfiducia verso la May a Sir Graham Brady, capo del comitato 1922, sorta di direttivo dei Tories. Non è escluso che il numero di lettere sia vicino alle 48 necessarie per avere un voto di fiducia. Ma c'è un problema: per vincere e aprire una gara per la leadership i frondisti hanno bisogno di 159 voti tra i Tories, difficili da trovare quando molti deputati hanno promesso ai loro elettori stabilità economica.

Se la May non fosse sfiduciata in un voto che potrebbe tenersi già la settimana prossima, la sua posizione sarebbe blindata per un anno, ragion per cui prima di procedere è necessario essere sicuri del risultato, tanto più che è il passaggio a Westminster a rappresentare la vera resa dei conti. Una relativa pace è arrivata dalle dichiarazioni di Michael Gove, una delle menti pensanti del partito e molto abile di suo nell'arte dell'accoltellamento politico, il quale ha dichiarato la sua «assoluta» fiducia in Theresa May e la sua volontà di andare avanti a lavorare con il governo, pur aggiungendo di voler raggiungere «l'accordo giusto in futuro», mentre l'euroscettico Liam Fox, ministro per il commercio estero, ha detto che «non siamo eletti per fare quello che vogliamo fare, bensì quello che è nell'interesse nazionale».

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