Brexit, rischio nuove elezioni: ora Londra teme l'effetto caos

Brexit, rischio nuove elezioni: ora Londra teme l'effetto caos
di Cristina Marconi
Venerdì 16 Novembre 2018, 11:00 - Ultimo agg. 17 Novembre, 07:54
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LONDRA - Quella di questi giorni non è la crisi di Theresa May: è la crisi di un paese che si trova davanti a un futuro prossimo più incerto che mai e che, in un modo o nell'altro, deve uscire dalle secche della Brexit in cui si è arenata. Se tutto va come sperato da Downing Street, dopo l'approvazione del 14 novembre da parte del governo, l'accordo con Bruxelles dovrà essere ratificato dal vertice europeo di domenica 25 novembre per poi raggiungere il passaggio più pericoloso, ossia quello del voto parlamentare previsto per la metà di dicembre a Westminster.

I numeri, sulla carta, non ci sono, ma è possibile che a molte dichiarazioni bellicose non faccia necessariamente seguito un voto contrario. Il Labour di Jeremy Corbyn ha detto che l'accordo presentato non supera i requisiti richiesti per essere approvato dal partito, ma visto che anche l'opposizione è frammentata in mille correnti non si può escludere che qualcuno faccia di testa sua.
 
Tra i Tories, ben 70 sono vicini al think tank euroscettico ERG guidato da Jacob Rees-Mogg e per questo voteranno probabilmente contro l'accordo. Sommati agli unionisti irlandesi e agli altri, questo fa sì che ci siano circa 400 su 639 deputati pronti ad affossare il testo. Nel caso la May riuscisse miracolosamente a spuntare anche questo voto, a inizio 2019 verrebbe presentato il decreto di uscita dalla Ue, che dovrebbe passare anche al vaglio del Parlamento europeo, a cui basta una maggioranza semplice per approvarlo, e a quello del consiglio europeo, a cui serve l'approvazione di venti paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea. Il Regno Unito potrebbe così lasciare la Ue come previsto il 29 marzo del 2019, con un periodo di transizione fino al dicembre del 2020 e forse oltre.

Nell'eventualità che Westminster dicesse no, il governo avrebbe 21 giorni per presentare una nuova proposta e, anche qualora la bocciatura avvenisse a gennaio, si aprirebbero le porte a tutte le ipotesi: uscire con un no deal e applicare le condizioni dell'Organizzazione mondiale del commercio; rinegoziare l'accordo con Bruxelles, appellandosi alla pazienza ormai quasi esaurita delle istituzioni europee; andare a elezioni nella speranza di fare chiarezza in uno scenario politico confusissimo oppure, come vorrebbe una minoranza rumorosa, fare un nuovo referendum, affrontando tutte le incertezze del caso alla luce di sondaggi che ancora non danno un cambiamento d'umore così netto da far pensare all'ipotesi con una qualunque forma di serenità.

Tutto questo a condizione che le lettere per sfiduciare Theresa May non raggiungano a stretto giro l'agognata quota 48, pari al 15% dei deputati conservatori, costringendo il capo del comitato 1922 dei Tories, Graham Brady, a chiamare un voto di fiducia tra i 316 deputati conservatori già la settimana prossima. In questo caso alla May servirebbero 159 voti per essere blindata per i prossimi dodici mesi. Gli ultras sono sempre i 70 dell'ERG e altri deputati non sono necessariamente leali verso la May, ma nel partito restano comunque in tanti a pensare che la premier stia percorrendo l'unica strada possibile e che stia garantendo una relativa stabilità al paese.

Inoltre c'è stato un congresso un mese e mezzo fa e non è stata formalizzata nessuna candidatura. Nel caso non ce la facesse comunque, ci dovrebbe essere una sfida per la leadership, con il vincitore che la sostituirebbe sia nel partito che a Downing Street senza passare per le urne, come già successo con la May stessa all'indomani delle dimissioni di David Cameron. All'epoca lei era la soluzione di un problema enorme, chissà se è ancora così.

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