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Castigo dei genitori ai figli «obsoleto». Per l'Europa è vietato dire «basta, fila in camera tua»

Castigo dei genitori ai figli «obsoleto». Per l'Europa è vietato dire «basta, fila in camera tua»
Castigo dei genitori ai figli «obsoleto». Per l'Europa è vietato dire «basta, fila in camera tua»
di Claudia Guasco
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 12 Ottobre 2022, 07:00
3 Minuti di Lettura

 «Ora basta, fila in camera tua». Seguono, di norma, strilli, pianti e ripicche. È la punizione più vecchia del mondo e, dal 2008, è inserita dal Consiglio d’Europa nell’opuscolo che suggerisce ai genitori come comportarsi in caso di malefatte di un figlio piccolo. Ha rotto il vaso di porcellana del salotto? Si rifiuta di fare i compiti? Primo, nervi saldi: «Bisogna reagire al comportamento scorretto con spiegazioni e in modo non aggressivo, con castighi come il time out, la riparazione dei danni o una decurtazione della paghetta». Ma proprio il time out, l’obbligo per il bimbo di andare nella sua stanza, sarà depennato dalle norme di comportamento del buon genitore. Il quotidiano francese Le Figaro ha intercettato una mail nella quale la direttrice della Divisione per i diritti dell’infanzia, Regina Jensdottir, definisce la punizione «obsoleta», il Consiglio d’Europa ha riflettuto e l’opuscolo che la incoraggia, ancora disponibile in rete, sarà presto modificato. 

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Soddisfatta StopVeo, una delle associazioni che hanno fatto pressione ritenendo il time out inadatto a risolvere le situazioni conflittuali. Ma segue dibattito. «In fondo, mi sembra una sanzione moderata. Poi bisogna capire i motivi perché il bambino è obbligato ad andare in camera sua», riflette Benjamin Sadoun, psichiatra infantile presso l’University Hospital Group di Paris. E la stessa StopVeo è cauta: «Segnaliamo che molti genitori fanno riferimento a questa soluzione per risolvere i problemi, ci auguriamo che l’abolizione venga spiegata dalla pedagogia e soprattutto sostituita da suggerimenti per provvedimenti meno violenti. Resta la raccomandazione che, se la tensione sale, meglio lasciare che il bambino pianga da solo e vada a calmarsi piuttosto che peggiorare le cose». Per Elena Ravazzolo, neuropedagogista attenta al tema, occorre ribaltare la questione: «È necessario un approccio educativo diverso, un cambio di pensiero che sostituisca le punizioni. Anticipare sempre le criticità, affinché non si arrivi mai a un punto di rottura». Esempio. Giulio ha 11 anni e non andrà a calcio perché ha preso 5 in geografia. Ma alla domanda «studierai veramente di più?», risponde: «Perché dovrei? Non mi piace la geografia. E poi tanto mamma e papà hanno sempre da ridire e urlano, anche se prendo 6». I castighi, conclude la dottoressa Ravazzolo, «non servono a nulla, se non a mettere i bambini nelle condizioni di essere più furbi la prossima volta».

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Ciò non significa che non sia necessario «mettere in atto dei sistemi educativi per far comprendere loro gli errori», sottolinea. Quali? «Se un figlio scrive sul muro è più utile farglielo pulire anziché impedirgli di vedere gli amici. Se l’adolescente prepara i pancake e sporca tutta la cucina gli si dice: ottimi i pancake, ora però metti a posto. La volta successiva starà più attento e non rovescerà l’impasto. Certo educare così è molto più difficile per un genitore, ma sostituire le punizioni aggiustando garantisce serenità alla famiglia e abitua i bambini a riparare il danno. E li fa crescere». Anche il pedagogista Daniele Novara, autore del libro “Punire non serve a nulla”, indica poche regole e chiare. «Se proprio il bambino insiste, il silenzio attivo è molto utile. Non si parla per qualche minuto, dopo avere spiegato con fermezza che si sospende la comunicazione perché c’è qualcosa che non funziona. È un semaforo rosso, non un castigo, ma è estremamente efficace».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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