I sopravvissuti all'inferno in Portogallo
«Nessuno è venuto ad aiutarci»

I sopravvissuti all'inferno in Portogallo «Nessuno è venuto ad aiutarci»
di Paola Del Vecchio
Lunedì 19 Giugno 2017, 13:09 - Ultimo agg. 15:27
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Madrid. I sette Canadair inviati da Roma e Madrid fanno incessantemente la spola nelle dense nubi di fumo e cenere. Mentre, sul terreno i pompieri giunti da Italia, Francia e Spagna, lottano con i colleghi portoghesi per arginare le fiamme che avanzano verso Coimbra e Castelo Branco, spinte delle forti raffiche di vento. Nell’inferno di fuoco che ha carbonizzato la foresta di Pedrogäo Grande, a 160 km da Lisbona, sono morte 62 persone e una sessantina sono ferite, cinque sono in gravi condizioni, stando all’ultimo bilancio della protezione civile. Disperazione, dolore, rabbia fra i sopravvissuti di Pedrogäo, Barraca de Boavista, Nodeirinho, i villaggi del distretto di Leiria sferzati dal rogo, che ha seminato morte e distruzione. “Abbiamo perduto tutto e nessuno è venuto ad aiutarci”, si dispera Anabela Estevez, che vive con i figli a Barraca de Bonavista. Quando nella tarda mattinata di sabato è cominciato l’incendio, si sono rinchiusi nella cantina interrata della casa. Una decisione che gli ha salvato la vita. “La famiglia che viveva nella casa accanto ha tentato di scappare con l’auto. Sono morti tutti, anche i bambini”, piange Anabela.
 


Nel vicino paesino di Nodeirinho la polizia giudiziaria ha recuperato i cadaveri di 10 vittime, che aspettano di essere identificati. Il terrore sul viso degli abitanti è ancora vivissimo. “Eravamo circondati dal fuoco. Con mia moglie e mio figlio abbiamo riempito d’acqua un vecchio lavatoio sul terrazzo e siamo rimasti immersi fino al mattino dopo, quando sono arrivati i vigili del fuoco”. Un’altra cinquantina di abitanti di cascine e casolari del villaggio si sono salvati rimanendo in ammollo in una vecchia cisterna: “Abbiamo fatto noi da pompieri, perché fino a domenica qui non si è visto nessuno”, denunciano. Un orrore senza fine. Victor Neves, una guarda forestale della zona, sabato si è immediatamente diretto verso l’epicentro dell’incendio, rispondendo all’allarme dei pompieri. Ha visto sua moglie per l’ultima volta mentre saliva sull’auto per fuggire verso la salvezza. Ma non ce l’ha fatta. “Sono morti tutti, tutti, anche i bambini”, ripete l’uomo, mentre lavora come un automa fra le ceneri di quello che resta del bosco.

A provocare il rogo, “una tragedia umana senza precedenti”, come l’ha definita il primo ministro Antonio Costa, sarebbe stata una tempesta di fulmini che si è abbattuta sul bosco di Pedrogäo, scatenando un fenomeno noto ai meteorologi come ‘tormenta indiana’. E’ un mix micidiale di alte temperature, fino a 40 gradi, con le fiamme propagate rapidamente dai forti venti “in modo inspiegabile e incontrollabile” – come ha spiegato Joäo Gomes, del ministero degli Interni - e dal cambio continuo di direzione, che ha reso impossibile alle vittime trovare scampo. “ll fuoco volava da tutte le parti”, raccontano i testimoni.

Tutte le vittime erano famiglie, abitanti dei paesini in fuga, che tentavano di raggiungere la statale Ic-8, costruita su un alto viadotto, sopra i boschi di eucalipti bruciati. Ma sono rimaste intrappolate a 1 km di distanza su quella che è diventata l’autostrada della morte, la nazionale 236. Una ‘ratonera’, una trappola mortale, in cui Antonio e Rosinda, una coppia di 90 anni di Pobrais, dove c'è uno dei focolai ancora attivi, ha perduto due nipoti carbonizzati nell’auto. “Isto è coisa de Deus’, ripetono davanti alle telecamere, incapaci di rassegnarsi all’idea di essere ancora vivi.
Ma la tragedia poteva forse essere evitata, come hanno segnalato gli esperti intervistati dal quotidiano portoghese Publico. Non solo il piano di difesa delle foreste, approvato da tempo, è rimasto lettera morta. “Da anni parliamo di costruire barriere anti incendio vicino a case e fabbriche e ora è troppo tardi”, denuncia Luciano Lourenço, del Centro di ricerca sugli incendi dell’Università di Coimbra. Mentre altri accusano: “La circolazione sulle strade del distretto di Leiria doveva essere interrotta prima. Bisognava impedire alla gente in preda al panico di fuggire verso la bocca del fuoco”.
 
 
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