Cop26 di Glasgow, la sfida di Wall Street contro l'inquinamento

Cop26 di Glasgow, la sfida di Wall Street contro l'inquinamento
di Mariagiovanna Capone
Giovedì 4 Novembre 2021, 12:02 - Ultimo agg. 17:54
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La terza giornata della Cop26 di Glasgow è ruotata intorno al mondo della grande finanza. Al centro delle discussioni i metodi per combattere il riscaldamento globale e aiutare i Paesi più vulnerabili ad adattarsi ai suoi effetti devastanti. Con il riscaldamento globale limitato a +1.5 gradi, i Paesi sono da un lato sotto pressione per fare di più e in fretta per frenare i cambiamenti climatici ma dall'altro lato devono anche escogitare metodi e aiuti per proteggere le popolazioni dai disastri già in atto. Il finanziamento è il nocciolo della questione con i Paesi in via di sviluppo, colpiti duramente dagli effetti delle nuove deregolamentazioni di cui sono solo marginalmente responsabili, che chiedono un finanziamento di 100 miliardi di dollari all'anno dai Paesi più sviluppati. A ribadirlo è il presidente della Cop26, Alok Sharma, che ha proposto di attivare entro il 2022 un fondo di aiuto, conscio che «il clima prima non era nel mainstream della finanza, ora sì. C'è una grande spinta del settore privato per perseguire la crescita green». Gli asset intanto ci sono: Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz), la coalizione di società finanziarie internazionali nata lo scorso aprile per affrontare il cambiamento climatico e guidata in qualità di presidente dall'ex governatore della Banca centrale inglese Mark Carney, ha fino a 130 trilioni di dollari di capitali privati impegnati a raggiungere gli obiettivi di emissioni nette zero entro il 2050. 

A dare la linea di rotta della giornata ieri è stato Mark Carney in veste di inviato dell'Onu per il clima e la finanza, che ha ribadito che per combattere la crisi climatica «servono un trilione di dollari all'anno di investimenti nei Paesi in via di sviluppo». Per fare questo occorrono regole e ha proposto come modello Gfanz, network di 450 colossi che gestiscono il 40% dei capitali finanziari mondiali. Questi giganti si sono impegnati ad arrivare a zero emissioni nette al 2050, e a tagliarle drasticamente al 2030. Ma hanno anche accettato che i loro sforzi vengano valutati ogni anno da un organismo terzo, formato da ong ed esperti indipendenti. Questo perché le ong si sono dichiarate «insoddisfatte da questa alleanza» sottolineando che «non impedisce gli investimenti in carbone o petrolio. Più di 130 trilioni di dollari e nessuna regola per impedire che un solo dollaro venga investito nell'espansione dei combustibili fossili, responsabile della maggior parte del riscaldamento», ha affermato Lucie Pinson, presidente della ong francese Reclaim Finance. 

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Nella serata di martedì intanto è stato però firmato un importante documento con cui un centinaio di Paesi si sono impegnati a ridurre drasticamente le proprie emissioni di un gas serra meno conosciuto della CO2 ma molto più potente: il metano (CH4).

Paesi che rappresentano oltre il 40% delle emissioni di metano provenienti dalle attività umane, ovvero allevamenti di animali, industria del petrolio e del gas e produzione di rifiuti), e puntano a una riduzione di almeno il 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020 e l'impegno principale tocca al Brasile con i suoi 218 milioni di capi di bestiame.

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