Coronavirus, la guerra impari dei medici cinesi: 1.700 infetti, Pechino a corto di mascherine

Coronavirus, la guerra impari dei medici cinesi: 1.700 infetti, Pechino a corto di mascherine
di Erminia Voccia
Mercoledì 19 Febbraio 2020, 20:30 - Ultimo agg. 22:43
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Le autorità cinesi hanno confermato più di 1.700 casi di infezione da Covid-19. Sono i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari a pagane il prezzo più alto della lotta al nuovo coronavirus. Venerdì 14 febbario per la prima volta il governo cinese ha confermato 1,716 casi di infezione e 6 decessi tra il personale medico. Il caso più noto è quello di Li Wenliang, l'oculista 34enne fermato dalle autorità per aver avvertito i colleghi della minaccia del nuovo virus, poi riabilitato e diventato un martire nazionale. Dopo la morte del giovane medico, i media cinesi hanno confermato il decesso di Liu Zhiming, neurochirurgo e direttore del Wuchang Hospital di Wuhan.

Più di 1.500 infezioni sono state registrate nella provincia dello Hubei tra il personale sanitario, di cui più 1.100 nella sola città di Wuhan. Il South China Morning Post per primo ha confermato 500 casi di infezione e 600 casi sospetti a Wuhan, aggiungendo che agli operatori sanitari era stato vietato di divulgare tali cifre. Il governo cinese ha successivamente riferito che il 38% del numero totale di casi di Covid-19 riscontrati in Cina riguardano personale medico. Questi numeri sono molto più alti dell'epidemia di Sars del 2003, anche se rispetto ad allora i casi confermati di Covid-19 sono stati 12 volte di più.


Photo: Astroboys2019

A Wuhan la situazione sarebbe dramnmatica, medici e infermieri si preparano ad andare in corsia come se stessero andando a combattere in trincea. Le infermiere si tagliano i capelli a vicenda e si rasano la nuca per far meglio aderire le cuffie alla testa, gli operatori sanitari si scrivono i nomi sulle spalle, sopra i camici, per essere riconosciuti. I più giovani vengono scelti per trattare i casi più gravi perché rispetto ai colleghi anziani hanno un sistema immunitario migliore e dunque più probabilità di guarire nel caso contraggano il virus. Ma lo stress, le lunge ore al lavoro li rendono più fragili ed esposti, così aumenta il rischio che i medici infettino gli atri pazienti. Come racconta il New York Times, si usa il nastro adesivo per riparare le mascherine, si adoperano più volte occhiali sanitari che dovrebbero essere monouso e si avvolgono le scarpe in buste di plastica. Alcuni operatori sanitari evitano di mangiare e di bere per non andare in bagno e dover poi gettare via le tute, altri implorano gli amici per avere maschere protettive.

Per la maggior parte queste infezioni sono state contratte nelle prime settimane della crisi sanitaria, quando mancava l'equipaggiamento protettivo e nel periodo in cui le autorità avevano sostenuto che ci fossero ancora pochi casi di trasmissione del virus da uomo a uomo. Anche il Global Times, giornale vicino al governo di Pechino, scrive che le infezioni sono avvenute nelle prime fasi della crisi, vale a dire quando le persone non sapevano che il virus poteva essere trasmesso anche durante il periodo di incubazione della malattia, dunque i rimedi più semplici e meno costosi non sono stati adottati.
 


Nel momento in cui la diffusione del nuovo coronavirus è diventata evidente, le autorità cinesi hanno imposto l'isolamento della città di Wuhan e della provincia dello Hubei, misure che avevano lo scopo di rallentare la diffusione della malattia ma che allo stesso tempo hanno ostacolato le consegne di equipaggiamento sanitario, lasciando i professionisti a dover fare i conti con la scarsità di rifornimenti di materiale protettivo. Mancano soprattutto le mascherine N95, che garantiscono una migliore protezione. La colpa,secondo alcuni testimoni, sarebbe delle autorità cinesi che stanno creando ingorghi nella distribuzione del materiale. La Cina domina in mercato mondiale per la produzione di mascherine, ma la domanda crescente ha generato una seria carenza nei rifornimenti e l'isolamento ha impedito l'afflusso di materie prime per molte frabbriche. Ciò ha spinto Pechino ad aumentare le importazioni e ad adottare metodi di razionamento propri dei tempi di guerra. Gli scaffali di tutto il mondo, non solo quelli cinesi, sono rimasti vuoti. Ancora secondo il Scmp, i produttori di mascherine operano per il 76% delle loro capacità, producendo 15,2 milioni di unità al giorno.
Ma la domanda a causa della crisi sanitaria si attesterebbe tra i 50 e i 60 milioni di pezzi al giorno. Per far fronte all'emergenza il governo cinese ha disposto che più di 25 mila medici e sanitari, dei migliori ospedali di Pechino e Shanghai, siano trasferiti nello Hubei. 

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