Coronavirus, il mondo guarda al modello Taiwan: «Ma Cina e l'Oms ci boicottano»

Foto: Reuters
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di Erminia Voccia
Venerdì 10 Aprile 2020, 20:55 - Ultimo agg. 11 Aprile, 09:02
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La pandemia da coronavirus non è utile solo alla propaganda dei regimi autoritari ma, in alcuni casi, può rivelarsi un asso nella manica dei paesi democratici. Ne è un esempio Taiwan che sta rafforzando la propria immagine a livello internazionale mostrandosi quale esempio virtuoso nella gestione dell'emergenza sanitaria, nonostante la narrazione cinese volta a screditare il governo di Taipei e il suo successo ricostrato nel contenere la diffusione del virus.

La Repubblica Popolare Cinese considera Taiwan parte del proprio territorio e non uno stato indipendente, quale di fatto è l'isola dal 1949. Taiwan è la questione che occupa un posto speciale nell'agenda geopolitica del presidente cinese Xi Jinping, intenzionato a riannettere il territorio con ogni mezzo possibile. A tale scopo Pechino porta avanti una politica tesa ad isolare diplomaticamente Taipei, sostendendo il principio dell'unica Cina. Il modello Taiwan fa scuola, ma non ottiene la stessa attenzione di quello della Corea del Sud. Tuttavia, a dispetto delle intenzioni di Pechino, il modello sperimentato dalla presidente Tsai Ing Wen del Democratic Progressive Party viene citato da 35 paesi nel mondo come sistema da importare. La piccola isola avrebbe dovuto registrare molti più contagi per via della prossimità geografica e degli scambi con la Cina. Eppure, i numeri di Taiwan sono molto bassi. L'8 aprile si contavano meno di 380 casi di infezione e solo 5 morti, su una popolazione composta quasi da 23 milioni di persone. Anche per Taipei si è dimostrato vincente l'approccio basato sulla risposta veloce delle autorità, sulla trasparenza nel diramare informazioni ai cittadini e sui sistemi di tracciamento degli infetti, che hanno permesso di conoscre la storia e i contatti dei contagiati, grazie all'utilizzo dei big data. Inoltre, il vice presidente di Taiwan, Chen Chien-jen, è un epidemiologo noto per il lavoro svolto nel 2003 con la Sars.
 


A causa delle pressioni della Cina impegnata ad escludere Taipei dalle istituzioni internazionali, il governo di Taipei ha lamentato di essere stato tagliato fuori dal flusso di informazioni sulla pandemia e ha accusato l'OMS di boicottaggio. Taiwan non è uno stato membro delle Nazioni Unite e dunque non può condividere informazioni con l'Oms, informazioni che invece avrebbero potuto accelerare la risposta globale alla pandemia di coronavirus. 
Ma la diplomazia della presidente Tsai, da poco uscita vittoriosa alle elezioni che le hanno garantito un secondo mandato, sta mandando a monte i piani cinesi.

Anche Taiwan, come la Cina, ha punatato sulla «diplomazia delle mascherine», promettendo milioni di mascherine protettive a tutti i paesi che ne hanno bisogno, a seconda delle capacità di produzione del paese. Il modello Taiwan per contrastare il coronavirus ha portato a un ulteriore rafforzamento delle relazioni con gli Stati Uniti. Taipei e Washington hanno deciso di cooperare per gestire al meglio la crisi sanitaria, ora che gli Usa e l'Europa sono l'epicentro della pendemia. Inoltre, la legge firmata da Trump e nota come Taipei Act implica la possibilità di “modificare” i rapporti economici e diplomatici con i paesi che minacciano “la sicurezza o la prosperità di Taiwan”. Un riferimento neanche troppo velato alla Cina. Anche l'India, non esattamente amica della Cina e in lockdown nazionale da tre settimane, ha elogiato Taiwan. I media indiani hanno invece espresso la propria rabbia contro Pechino per le responsabilità nella diffusione del virus a livello mondiale. Anche l'Europa ha battuto un colpo a favore di Taipei, con una insolita dichiarazione di Ursula von der Leyen. Su twitter la presidente della Commissione Ue ha ringraziato Taiwan per l'aiuto nel combattere il virus. La Covid-19, dunque, è stata forse il migliore strumento di soft pover di Taiwan.

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