Coronavirus, l'effetto della pandemia: il lockdown silenzia anche le proteste

(AFP Photo/Philip FONG)
(AFP Photo/Philip FONG)
di Erminia Voccia
Giovedì 2 Aprile 2020, 20:17
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Dopo l'anno delle proteste, l'anno del lockdown. Le immagini più forti del 2019 sono state quelle delle piazze di tutto il mondo gremite di manifestanti in lotta per il riconoscimento dei propri diritti. Da Hong Kong a Khartoum, dal Medio Oriente all'America Latina, il mondo era scosso da un'ondata di rabbia collettiva. Una rabbia che sembrava destinata a resistere anche l'anno seguente e ha conquistare l'attenzione dei media, dal momento che nessuna di quelle manifestanzioni aveva portato al risultato ultimo che i manifestanti auspicavano. Beirut, Barcellona, Santiago, la disobbedienza civile era stata per tanti mesi uno degli argomenti più discussi. Ma, dopo poco, il panorama globale è del tutto cambiato, restituendo ai popoli di tutto il pianeta le immagini indimenticabili di strade e piazze deserte. Le proteste, così forti in tanti paesi, appaiono impesabili alla luce delle misure restrittive che proibiscono gli assembramenti e impongono il distanziamento sociale, quasi ovunque.

Eppure, quei desideri di cambiamento delle società, quella ribellione ai governi, alla corruzione dilagante, alle tasse percepite come misure ingiuste, all'autoritarismo, agli eccessi del capitalismo, non si sono sono spenti del tutto. Anzi, se è possibile, sono più sentiti di prima. Ma il momento storico obbliga le persone a stare a casa, così alcune proteste cambiano forma e si spostano sui social network, altre invece prendono vita dai balconi delle abitazioni. Il mondo vorrebbe andare avanti, nonostante il coronavirus, la ribellione è solo congelata, oppure aspetta un tempo più favorevole. Le mascherine che ad Hong Kong erano diventate il simbolo delle proteste contro la Cina, un modo per aggirare il controllo delle autorità e non essere riconosciuti, hanno adesso una funzione diversa perché servono a proteggere dal contagio. Ma ad Hong Kong, dove il governo locale è ora chiamato a gestire una seconda ondata di contagi, il problema della definizione del rapporto con il governo centrale di Pechino non è ancora stato risolto. Il timore di una maggiore ingerenza cinese resta una questione in sospeso.
 


La calma solo apparente del Cile era stata sovvertita lo scorso ottobre. Il caos generale e i sanguinosi scontri tra forze di polizia e manifestanti avevano costretto il governo ad accettare di indire un referendum per cambiare la Costituzione, eredità della dittatura di Pinochet. Quel voto è stato rimandato. «Prima dobbiamo pensare a sopravvivere, poi potremo provare a cambiare il mondo», ha detto a Reuters un venditore ambulante che aveva sposato la causa. In Algeria le prosteste contro il potere sono andate avanti per 56 settimane, fino allo scorso weekend. Nel paese nordafricano le manifestazioni non si erano fermate dopo le dimissioni del presidente Abdelaziz Bouteflika e gli algerini hanno continuato a chiedere l’allontanamento definitivo dei politici e delle figure vicine al vecchio regime. La 17enne Greta Thunberg ha invece chiesto ai giovani attivisti di tutto il mondo di continare a protestare per il clima restando a casa e postando video e foto sui social. In India, invece, il lockdown nazionale deciso dal premier Modi non ha fermato il sit-in di 85 giorni organizzato dalle donne di New Delhi che contestano la discussa legge sulla cittadinanza, racconta AP. Quel provvedimento, che favorisce la richiesta di cittadinanza per i membri di quasi tutte le minoranze religiose in arrivo dai paesi vicini, tranne l'Islam, aveva causato violente manifestazioni nella capitale indiana e decine di morti. «Non abbiate paura del corona, moriremo in ogni caso per via dell'aria che respiriamo. Meglio morire protestando», ha gridato una donna a Beirut riferendosi all'inquinamento in Libano, riporta ancora AP. In Brasile, infine, milioni di persone hanno protestato dai balconi, con pentole e altri utensili da cucina, per ottenere l'allontanamento del presidente Bolsonaro, l'unico leader al mondo che ancora fatica a riconoscere la gravità del nuovo coronavirus.

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