Sarebbe solo una questione di tempo.
Dalle colonne del New York Times, una vera e propria bomba: l’Intelligence americana ha le prove che potrebbero inchiodare il coronavirus, non sulla croce della natura, ma su quella del laboratorio cinese di Wuhan.
A un anno e mezzo dai primi ricoveri e dai primi sospetti, e a una manciata di ore dall’annuncio del presidente Biden di voler rilanciare un’inchiesta, l’ipotesi sull’origine artificiale del Covid-19 sembra accelerare e farsi di giorno in giorno sempre più probabile.
Non è più fantascienza né “fantapolitica”, dunque.
E ne prende atto addirittura Facebook, che la smette di censurare tutti quei post che osino anche soltanto mettere in dubbio la versione ufficiale di Pechino.
Pechino che nel frattempo non ci sta. E che lancia a sua volta una contro indagine che ha nell’occhio del suo ciclone gli Stati Uniti, provando così a ribaltare le accuse e puntando il dito dritto verso il centro biomedico di ricerca di Fort Detrick, in Maryland.
Cospirazioni e contro cospirazioni, teorie e contro teorie.
I fiumi di parole, però, potrebbero presto sfociare nel mare dei fatti.
Della verità che il mondo intero, messo in ginocchio, merita di conoscere.
Con l’Organizzazione Mondiale della Sanità che gioca sì il ruolo di arbitro, ma che appare tutto meno che imparziale. Troppo vicina a Xi Jinping e ai suoi, troppo spesso chiamata a smentire persino se stessa. Già nel mirino di Trump e della sua comunicazione feroce, ora osservata con sospetto anche dal successore Biden, che per certi versi pare quasi raccogliere l’eredità di questo scontro.
Per completare le analisi e gli studi ci vorranno settimane e non basterà il lavoro degli scienziati. Servirà infatti, come apertamente dichiarato da Washington, pure quello delle spie.
Ma il proverbiale vaso di Pandora oramai è aperto.
E gli equilibri della Storia sono destinati a essere scossi da tutto ciò che possa, finalmente, venirne fuori.