Dibattito Harris-Pence: un duello civile vinto dalla vice di Biden, ma gli occhi di tutti erano sulla mosca nei capelli dello sfidante

Dibattito Harris-Pence: un duello civile vinto dalla vice di Biden, ma gli occhi di tutti erano sulla mosca nei capelli dello sfidante
Dibattito Harris-Pence: un duello civile vinto dalla vice di Biden, ma gli occhi di tutti erano sulla mosca nei capelli dello sfidante
di Anna Guaita
Giovedì 8 Ottobre 2020, 06:20 - Ultimo agg. 20 Gennaio, 19:56
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​NEW YORK  - E’ stato l’opposto del dibattito fra Donald Trump e Joe Biden. L’incontro fra il vicepresidente Mike Pence e la senatrice della California Kamala Harris si è svolto all’insegna della civiltà, senza accuse, interruzioni, offese. Contrariamente agli attacchi continui che Trump ha mosso contro Joe Biden, la tendenza di Pence di rubacchiare tempo alla fine di ogni risposta rientrava dopotutto nella tipica tattica dei dibattiti. Vari commentatori liberal lo hanno accusato di comportamento misogino, ipotizzando che il pubblico femminile ne sia rimasto offeso, ma la senatrice è riuscita spesso a recuperare, ottenendo dalla moderatrice Susan Page qualche decina di secondi extra.

A metà del dibattito, che secondo la Cnn è stato vinto 59 a 38 dalla Harris, le chat erano però intasate di commenti e battute sia perchè Pence aveva l’occhio sinistro rosso e lacrimante, sia perché una mosca gli si era posata sulla capigliatura bianca.

Il web si è scatenato a fare ironia, ma Joe Biden l’ha vinta su tutti, caricando in rete immediatamente una sua foto con una paletta per le  mosche, e mettendone un campione in vendita sul suo sito con il nome ​«Truth over Flies» (“La verità contro le mosche”, ma con un gioco fra la parola flies, mosche, e lies, bugie).

I due contendenti per le elezioni del 3 novembre tuttavia non hanno deluso le aspettative. Insistente e tenace è stato Pence nella sua difesa della presidenza Trump, al punto di sembrare cieco davanti alla crisi che è sotto gli occhi di tutti e che Harris ha subito cercato di inquadrare come​ «il più grande fallimento di un’Amministrazione», cioé la pandemia. Il vicepresidente ha difeso l’Amministrazione, non si può dire con passione dato il suo carattere gelido e i suoi modi da predicatore, ma diligentemente sì. Ha avuto anche qualche raro momento di vivacità, nel difendere la sua posizione pro-life, e nell’accusare Harris di aver indebolito la lotta contro il virus perché lei aveva detto che avrebbe accettato di prendere il vaccino in fase di realizzazione accelerata​ «se i medici ci dicono di prenderlo, se ce lo dice Trump no».

Pacata e autorevole, con un sorrisino ironico pronto nei momenti difficili è stata Kamala, che non ha risparmiato critiche a Trump bollandolo non solo per la pandemia, ma per «l’ossessione della guerra commerciale contro la Cina, una guerra persa», per le sue simpatie per i suprematisti bianchi, per il rifiuto di accettare il verdetto della scienza sui cambiamenti climatici, per aver rovinato le alleanze internazionali, per non aver pagato le tasse. Se qualcosa ha accomunato sia Pence che Harris è stata la tendenza a non rispondere alle domande ma a tergiversare, ma in questo non si sono certo differenziati dal comportamento tipico dei candidati politici. 

Il dibattito si è tenuto alla Università dello Utah, a Salt Lake City. Data la diffusione del  coronavirus alla Casa Bianca, che oramai conta ben 34 contagi accertati oltre a quello del presidente e della first lady, la senatrice Harris ha chiesto che le due scrivanie fossero tenute a quasi quattro metri di distanza e fossero separate da un pannello di plexiglass. Inizialmente Pence si era opposto al pannello, ma poi ha deciso di accettarlo. Tutti nel pubblico indossavano la maschera, tranne la moglie di Pence, Karen, che alla fine del dibattito è salita sul palcoscenico per abbracciarlo, a faccia scoperta.

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