Il piatto forte del menù è quello più divisivo: l’accesso di Kiev alla Ue. Roma chiede un’accelerazione dell’iter standard, Parigi invece spinge per il suo ingresso in una “comunità politica europea” tutta da costruire. Il dialogo è serrato - e continuerà ad esserlo - ma anche a cena terminata (ben dopo la mezzanotte) sul punto non ci sono vere novità. Le portate per Mario Draghi ed Emmanuel Macron però, ieri sera sono state tante. Il premier, ricevuto all’Eliseo con un «Salut, Mario!» urlato dal francese all’arrivo, sul tavolo ha trovato soprattutto la ricerca di una risposta economica comune alla crisi.
I piani dei due Paesi in questo senso convergono. Sia il padrone di casa che Draghi infatti, sono convinti della necessità di un nuovo Recovery Fund, con l’emissione di titoli di debito comune, che superi anche i “resti” di quello pandemico non completamente utilizzato. L’obiettivo è soprattutto creare un paracadute per far fronte ai costi sostenuti per calmierare i prezzi delle bollette. E Draghi - che ieri ha incassato il sostegno francese sul punto - ha già indicato anche una possibile ricetta: dei finanziamenti a tassi agevolati sul modello Sure da utilizzare anche per ammortizzare le infrastrutture necessarie ad affrancarsi dal gas di Mosca.
Ma fondi servono anche per la ricostruzione dell’Ucraina e il rifornimento degli arsenali militari che si stanno svuotando delle armi date a Kiev. E proprio quest’ultimo è il punto in cui l’unità traballa. Entrambi sono convinti sostenitori della necessità di una difesa comune Ue, Macron però vorrebbe una corsia preferenziale per l’acquisto di armamenti totalmente europei, avvantaggiandosi a dispetto dei programmi italiani sviluppati di concerto con Usa e Gran Bretagna. La mediazione - anche sull’onda lunga del Trattato del Quirinale - è però possibile e il tema finirà della girandola di incontri di fine mese. Un tour de force per cui ieri è stata stabilita un’agenda comune.
L’altra faccia della medaglia del blocco del grano e dello stravolgimento del mercato energetico, sono le ondate migratorie provenienti dal Nord Africa. L’attenzione di Palazzo Chigi e dell’Eliseo è alta, specie per quanto riguarda la Libia. Il Paese oggi è una polveriera e potrebbe presto degenerare. Un’eventualità che nessuno può permettersi. In primis perché il 31 luglio scade il mandato della missione Onu e se anche stavolta non verrà raggiunto un accordo su un Paese africano come capo-fila, le Nazioni Unite se ne andranno. Infine perché, oltre all’instabilità che creerebbe nell’intera area, è impensabile lasciare campo aperto alle forze vicine alla Russia proprio ad una manciata di chilometri dalle coste italiane.