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Le mani della ndrangheta sulla coca
del Sudamerica, potere forte in Europa

di Gigi Di Fiore
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 15 Aprile 2021, 00:02 - Ultimo agg. : 09:53
5 Minuti di Lettura

Un «maxi-processo» titolavano i quotidiani tedeschi a ottobre. Una cosa mai vista, in Germania. Al tribunale di Dusseldorf, di 14 imputati, cinque erano considerati affiliati della ndrangheta calabrese. I riflettori erano puntati su un traffico di 680 chili di cocaina e sull’organizzazione mafiosa che, per la prima volta in Germania, rendeva necessaria un’aula bunker per le udienze. Era lo sbocco della clamorosa «operazione Pollino», che nel dicembre 2018 ha coinvolto 80 persone tra Italia, Germania, Belgio, Lussemburgo.

Le tracce della cocaina, dai guadagni colossali portano un solo nome. Si chiama ndrangheta. Nell’«operazione Pollino», coordinata dall’Eurojust, che impegnò centinaia di poliziotti in tutta Europa, furono sequestrate 4 tonnellate di «polvere bianca» e centinaia di chili di altre droghe. Ben 2 milioni di euro il valore dei sequestri. Spiega Marcel Storch, giornalista del periodico tedesco «Der Western»: «Il processo di Dusseldorf fa capire quanto alta sia la presenza mafiosa in Germania, ma non tutti in Germania ne sono coscienti».

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Se dall’Italia sono partite 27 richieste di collaborazione ai giudici tedeschi per indagini di mafia, la Germania ne ha spedite all’Italia solo tre. Spiega Filippo Spiezia, vice presidente di Eurojust: «È dato acquisito che la Germania sia con la Spagna Paese di maggiore interesse per la criminalità mafiosa. Ma in Germania il contrasto alle mafie non è ancora una priorità».

Eppure, la strage del 15 agosto 2007 con sei morti a Duisburg, episodio della faida di San Luca tra le famiglie Nirta e Strangio, avrebbe dovuto far capire che il pericolo non era solo in Italia, ma da tempo in tutta Europa. E non solo. I locali di ndrangheta gestiti dalle ndrine sono diffusi in tutto il mondo. Scrive la Direzione investigativa antimafia: «Oltre confine, le cosche calabresi riproducono i propri modelli strutturali, ricercando i valori fondativi delle consorterie ed esaltando i consueti vincoli tradizionali».

Un pericolo e anche in Germania, dopo la strage di Duisburg, ristoratori, studenti, professionisti hanno fondato un’associazione antimafia, con sede a Berlino, Baviera e Vestfalia: «Mafianeindanke». Tra i 28 fascicoli avviati su organizzazioni mafiose seguiti da Eurojust in Europa, 8 sono su cosche di ndrangheta. E la figura dei «broker», gli ndranghetisti in grado di relazionarsi e intrecciare affari con i produttori e i vertici dei cartelli della cocaina, sono ormai presenti in Sudamerica come in Olanda, Germania, Spagna. Conferma il vice presidente di Eurojust, Filippo Spiezia: «Il mercato e il traffico internazionale degli stupefacenti è appannaggio soprattutto della ndrangheta, spesso in rapporto operativo, mediante broker, con esponenti di spicco della criminalità sudamericana e albanese».

Uno dei primi locali di ndrangheta nel mondo venne costituito nel 1911 in Canada. L’inchiesta «Canadian ndrangheta connection» nel luglio 2019 ha svelato intrecci e scenari inquietanti. La ndrina Muia, federata alla cosca Commisso di Siderno in provincia di Reggio Calabria, si è radicata con una «camera di controllo» a Toronto. La novità è stata la scoperta che, anche se collegati alla cosca d’origine, i locali canadesi hanno raggiunto più autonomia di decisione e affari. Ha spiegato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia: «Stiamo riscontrando una ripresa progressiva delle relazioni tra cosche del versante ionico-reggino e i sodalizi omologhi stanziati tradizionalmente in Canada, nella regione dell’Ontario. Le attività illegali della cosca a Toronto riguardano i settori di gioco e scommesse, il traffico di droga, il riciclaggio».

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È diventato strategico per la ndrangheta il radicamento in Sudamerica. A giugno 2019, il boss Rocco Morabito della cosca omonima riuscì a evadere dal carcere «Central» di Montevideo. In Brasile, il mese dopo venne arrestato il latitante Nicola Assisi, tra i più attivi fornitori di droga in Italia. I «broker» sono essenziali in Colombia, come in Brasile e Venezuela per assicurare la rotta della cocaina diretta nei porti olandesi e a Gioia Tauro. I capi dei cartelli sudamericani si fidano di più dei calabresi, diventati stanziali nei loro Paesi, e fanno affari con loro.

La cocaina non ha conosciuto crisi anche nell’anno della pandemia. Un affare che in Europa frutta in media 7575 milioni di euro secondo «Transcrime», che analizza per l’Unione europea i guadagni illeciti. Dice Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro: «Il mercato della cocaina non ha avuto crisi, il suo prezzo è rimasto invariato». La vendita della cocaina ha mantenuto alto i profitti della ndrangheta, ma con le restrizioni si sono moltiplicate altre forme di guadagni. Come il gioco illegale online, con società di comodo in Paesi come Malta e Lussemburgo che sfruttano siti registrati in più Paesi del mondo. Un settore dove le cosche Tegano, Piromalli, Pesce e Bellocco sono da sempre impegnate. Spiega un inquirente: «Il sistema si struttura su una rete capillare di società nei paradisi fiscali, schermate da trust e fiduciarie con assetto piramidale». Determinanti sono le complicità della famosa «area grigia» dove la ndrangheta è maestra: professionisti, commercialisti, avvocati in grado di districarsi tra le norme europee per registrare i siti e gestire i guadagni. Dichiarò il collaboratore di giustizi della ndrangheta, Mario Gennaro, che aveva avuto il ruolo di bookmaker: «Esistono società di consulenza che, se si vuole nascondere e non fare apparire la vera proprietà di certe società, si intestano le attività». Un business che ha fatto affari, in era di lockdown. Le scommesse illegali, anche in siti non trasparenti, hanno fruttato molto. Scrive «Transcrime»: «La proliferazione di operatori di giochi d’azzardo, giochi e servizi di scommesse su Internet, facilita il riciclaggio di denaro e danneggia la tracciabilità dei giocatori e dei proprietari che si nascondono dietro le piattaforme online». Un affare transnazionale, che la ndrangheta conosce bene. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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