Il giallo dei droni cinesi nella guerra in Libia: l'Onu apre un'inchiesta

Foto Xinhua via Twitter
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di Erminia Voccia
Venerdì 24 Maggio 2019, 18:09 - Ultimo agg. 20:18
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Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha aperto un’inchiesta sul possibile uso di droni nella crisi in Libia da parte delle truppe del generale Khalifa Haftar (LNA) avvenuto il mese scorso nei sobborghi a Sud della capitale Tripoli. L'attacco, sferrato contro le milizie a sostegno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al Serraj e riconosciuto dalla comunità internazionale, sarebbe la prova di un coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti nella guerra di Tripoli. L'introduzione di droni da guerra nel Paese nordafricano sarebbe una violazione dell'embargo sulle armi in vigore in Libia, violazione commessa da una «terza parte» non meglio precisata. 

Un rapporto confidenziale visto da Reuters a inizio maggio si riferisce a un attacco del giorno 20 aprile in cui sarebbe stato impiegato un missile Blue Arrow (BA-7), usato di norma come armamento per i droni Wing Loong prodotti dalla Cina. Il gruppo di esperti Onu sarebbe partito dall’esaminare una fotografia e avrebbe identificato alcuni detriti del missile Blue Arrow di fabbricazione cinese, riporta AFP.

Secondo le Nazioni Unite, è quasi sicuro che il missile non sia stato trasportato in Libia dai fornitori, o eventualmente dai cinesi, ma attraverso una «terza parte»non meglio identificata. I funzionari Onu stanno però investigando sull’impiego dei droni cinesi e sul possibile ruolo degli Emirati Arabi nell'offensiva su Tripoli condotta dall'uomo forte della Cirenaica. Wing Loong è un drone sviluppato dal gruppo cinese Chengdu Aircraft Industry Group (CAIG) e la flotta emiratina comprende appunto le due versioni di velivoli a pilotaggio remoto Wing Loong e Wing Loong II. Il report dell'Onu fa notare che il missile BA-7 è a disposizione solo di Cina, Emirati Arabi e Kazakhstan. Lo stesso report aggiunge che alcuni Paesi dotati di droni Wing Loong potrebbero aver acquisito il missile: Egitto, Indonesia, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Serbia e Uzbekistan. Tra questi, Emirati ed Egitto appoggiano economicamente il generale Khalifa Haftar e vedono le sue milizie come un argine all’espansione islamista in Nord Africa. Nonostante l'embargo, in Libia continuano ad affluire armi e la crisi sta prendendo la forma di una guerra per procura tra potenze esterne. Turchia e Qatar appoggiano il Governo di Accordo Nazionale di al Serraj (GNA). L'invio recente di veicoli blindati da parte della Turchia sarebbe per Arnaud Delalande, consulente per la Difesa e specialista della Libia, il chiaro segno del sostegno al governo di Tripoli.

Si stima che i droni emiratini prodotti dalla Cina siano stati già impiegati in alcuni attacchi in Libia, probabilmente da una base aerea situata in Egitto. La base di al-Khadim in Libia si trova a quasi 70 chilometri a Sud della città di Marj ed è la sede del quartier generale delle milizie di Haftar. In quella base gli emiratini avevano schierato droni Wing Loong II già a partire da novembre 2016. Ad al Khadim gli Emirati avevano posizionato anche un discreto numero di velivoli da guerra Air Tractor per garantire supporto aereo al generale libico Haftar. Negli anni passati tali velivoli sono stati utilizzati in missioni di ricognizione e supporto alle forze dell'Esercito Nazionale Libico (LNA). In particolare, questo supporto sarebbe servito alla lotta contro lo Stato Islamico e il Benghazi Revolutionaries Shura Council, che ha legami con al-Qaeda. Ancora secondo Delalande, dal momento che al-Khadim è troppo lontana da Tripoli, i Wing Loong potrebbero essere partiti da una base alternativa, più vicina alla capitale. Negli ultimi 18 mesi i droni cinesi sarebbero stati impiegati massicciamente dagli Emirati Arabi in diverse missioni nell'ambito della guerra in Yemen, tra cui l’assassinio di uno degli ex leader civili del movimento Houthi Saleh al-Samad. Ad agosto del 2018 i ribelli Houthi hanno detto di aver abbattuto un CH-4B che sarebbe appertenuto alla flotta saudita.

Dall’11 settembre in avanti siamo stati portati a considerare i droni quale segno più evidente della presenza statunitense in Medio Oriente. Adesso, fa notare ancora un'inchiesta di Reuters, i cieli della regione sono attraversati da velivoli prodotti in loco o di fabbricazione cinese. Iraq, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sono in Paesi che più di altri hanno fatto ricorso ai droni “made in China”. Ciò è accaduto a causa delle resistrizioni americane alla vendita di droni all'estero. Le varianti cinesi sono meno costose rispetto a quelle americane ma garantiscono comunque buone prestazioni. Heath, analista di Rand Corporation, ha detto al giornale South China Morning Post che la mancanza di restrizioni in Cina alla vendita di tali velivoli rappresenta un rischio notevole per la sicurezza. La facilità con cui questi velivoli possono essere acquistati ne favorisce l’uso contro dissidenti politici, minoranze o gruppi che si oppongono ai regimi in forma non violenta. «Le armi cinesi sono facili da acquisire per qualsiasi regime, non conta quanto il regime in questione sia brutale o crudele», ha commentato Heath. 
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