Economia e lavoro, l’America va ma Trump alza il tiro: «Molestie al presidente!»

Economia e lavoro, l’America va ma Trump alza il tiro: «Molestie al presidente!»
di Luca Marfé
Venerdì 7 Dicembre 2018, 17:05 - Ultimo agg. 8 Dicembre, 09:32
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NEW YORK - L’America va. Trump festeggia, ma si agita.

Anche novembre parla chiaro: 155mila nuovi posti di lavoro e disoccupazione ferma al 3,7%, praticamente al di sotto della soglia dell’esistenza.

Nonostante le recenti scintille commerciali con la Cina di Xi e i conseguenti scossoni a danno delle borse mondiali, l’Unità per le Statistiche del governo pubblica una delle migliori “fotografie” di sempre dell’economia a stelle e strisce.

La crescita dell’occupazione è meno vivace di quelle che erano le aspettative, con le previsioni che prima dello scontro tra aquila e dragone si attestavano attorno alle 190mila unità, ma è in parte compensata dalla crescita dei salari, in rialzo di un ulteriore 0,2% che delinea un incoraggiante trend annuale del +3,1%.

Proprio in queste stesse ore, accanto ai numeri relativi alle casse statunitensi, vede la luce un nuovo report (record) firmato Rasmussen, l’azienda che dal 2003 segue quotidianamente umori e sentimenti dell’elettorato americano.

Ebbene, è qui che Trump si scatena.



L’indice di approvazione è buono: 50%. Immagine precisa di un Paese spaccato in due metà. Ma, a detta del tycoon, sarebbe ancora migliore se non ci fosse stata la «caccia alle streghe del Russiagate».

Tycoon che, fedele al proprio stile, via Twitter, rincara la dose fino all’assurdo:

«Con tutto quello che abbiamo realizzato negli ultimi due anni (taglio delle tasse e della burocrazia, giudici, militari, veterani, etc.), il mio indice di gradimento dovrebbe essere al 75%, altro che 50 come riportato da Rasmussen. Queste si chiamano molestie al presidente!».


L’assurdo, appunto. L’esasperazione delle parole pur di alimentare una campagna elettorale infinita, perenne. Trump che, senza le sue zuffe verbali, politicamente neanche esisterebbe.

E così traccia, assieme alla narrativa oramai consolidata della sua persecuzione, una nuova linea di confine della dialettica di Stato.

E così, sulle prime pagine di tutti i giornali, si finisce a scrivere di «harassment» (violenza? Stupro?!?) alla più alta istituzione del Paese.
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