L'11 marzo del 2011 è un giorno terribile per il Giappone. Alle 14:46 un sisma di magnitudo 9 sulla scala Richter, con epicentro in mare, nel nordest, al largo del Tohoku, investe l'arcipelago. La terra non smette di tremare per 6 interminabili minuti. È il quarto terremoto più grave al mondo, talmente potente da provocare uno spostamento dell'asse terrestre. Nello stesso giorno, trascorsi appena 30 minuti dal sisma, un violento tsunami si abbatte sulle coste giapponesi, con onde alte decine di metri, dalla velocità di quasi 750 chilometri all'ora. Le zone più colpite sono la prefettura di Iwate e quella di Miyagi. Il maremoto si estende a tutta la zona del Pacifico: Nuova Zelanda, Indonesia, Filippine, spingendosi fino in Russia e Cile. Nella centrale nucleare di Daichii Fukushima della società Tepco, situata nell'omonimo distretto a quasi 200 km dalla capitale Tokyo, accade l'irreparabile: l'acqua invade la centrale e i generatori elettrici entrati in funzione subito dopo il terremoto si fermano. Il sistema di raffreddamento dei 3 reattori in funzione è fuori uso, questo causa il surriscaldamento, i tre noccioli si fondono. Nei giorni successivi si verificano esplosioni e vengono disperse radiazioni e gas.
COME A CHERNOBYL
È il disastro di Fukushima, verrà ricordato come il peggiore incidente nucleare da quello di Chernobyl, avvenuto 25 anni prima.
FERITE APERTE
A distanza di tempo, resta il quesito: dove collocare il materiale altamente radioattivo, i detriti e i rottami della centrale? Secondo il governo di Tokyo, lo smantellamento della centrale di Daichii dovrebbe essere completato nell'arco di 30-40 anni. Una valutazione sin troppo ottimistica, dicono gli esperti. Un programma che si sta rivelando un fallimento, denuncia Greenpeace: «Così com'è, il piano non riesce ad evitare che la contaminazione delle acque sotterranee e quelle accumulate nei serbatoi continui ad aumentare in futuro e rischia di generare problemi di ricontaminazione dovuti al trasferimento dei materiali radioattivi dalla centrale».
Altro nodo: la salute. Un'indagine delle Nazioni Unite ha stabilito che le radiazioni a cui sono stati esposti i residenti delle aree vicine alla centrale non hanno danneggiato in modo diretto la loro salute. I timori di effetti negativi erano stati alimentati dai dati che indicavano un'alta incidenza di tumori tra i bambini che, all'epoca del disastro, risiedevano nelle vicinanze di Fukushima. È vero che le vittime strettamente connesse all'incidente nucleare sono poche, tuttavia, ancora Greenpeace Japan avverte che le aree dove l'ordine di evacuazione è stato eliminato, non sono state decontaminate in modo appropriato, esponendo i cittadini a seri rischi.
Le 32 indagini condotte dalla ancora dalla Ong, l'ultima della quali a novembre 2020, dimostrerebbero i livelli di radiazione nelle città di Iitate e Namie, nella prefettura di Fukushima sarebbero ancora molto elevati e in alcune aree superiori al limite di sicurezza. Inoltre, Tepco e il governo devono ancora decidere cosa fare con il milione e oltre di tonnellate di acque contaminate al trizio, e l'ipotesi è sversarle nell'Oceano Pacifico. A 10 anni dal disastro, il Giappone, notoriamente privo di risorse, considera ancora il nucleare fondamentale al proprio approvvigionamento energetico, oltre che alla lotta al cambiamento climatico. Difficile che Tokyo cambi atteggiamento.