Afghanistan, Usa: «Giovanni Lo Porto, ​ostaggio italiano, ucciso in raid aereo»

Afghanistan, Usa: «Giovanni Lo Porto, ​ostaggio italiano, ucciso in raid aereo»
Giovedì 23 Aprile 2015, 15:48 - Ultimo agg. 16:28
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L'ostaggio italiano Giovanni Lo Porto, scomparso nel gennaio 2012, è rimasto ucciso nel corso di un raid americano contro al Qaida nel gennaio scorso, al confine tra Pakistan e Afghanistan.

Lo rende noto la Casa Bianca. Nell'operazione è rimasto ucciso anche un ostaggio americano, Warren Weinstein.



L'operazione anti al Qaida in cui sono rimasti uccisi l'ostaggio italiano Giovanni Lo Porto e quello americano Warren Weinstein è stata condotta con un drone della Cia. Lo riporta il Wall Street Journal citando fonti dell'amministrazione Obama.



Il presidente americano, Barack Obama, «si assume la piena responsabilità delle operazioni in cui sono rimasti uccisi gli ostaggi di al Qaida: lo afferma la Casa Bianca, precisando che «il presidente ha dato direttive per diffondere più informazioni possibile».

«Ho parlato ieri col primo ministro italiano Matteo Renzi» dell'uccisione dell'ostaggio Giovanni Lo Porto: lo ha detto Barack Obama durante una conferenza stampa. «Voglio esprimere le più profonde condoglianze alla famiglia di Giovanni Lo Porto e a quella di Warren Weinstein».



Giovanni Lo Porto è stato rapito tre anni fa, il 19 gennaio 2012, insieme a un collega tedesco in Pakistan, dove lavorava per la ong tedesca Welt HungerHilfe ('Aiuto alla fame nel mondò) impegnata nella ricostruzione dell'area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011. Quattro uomini armati li prelevarono con la forza nell'edificio dove lavoravano e vivevano con altri operatori a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Il collega Bernd Muehlenbeck è stato liberato lo scorso 10 ottobre. Dopo la liberazione il cooperante tedesco raccontò che i rapitori avevano portato altrove già da un anno il collega italiano. Chi ha lavorato con Lo Porto lo descrive come una persona molto accorta e preparata. Il suo professore alla London Metropolitan University, dove Lo Porto ha studiato, lo ha ricordato tempo fa come uno studente «appassionato, amichevole, dalla mente aperta». «Mi disse: 'Sono contento di essere tornato in Asia e in Pakistan. Amo la gente, la cultura e il cibo di questa parte del mondò», perchè «il Pakistan era il suo vero amore e sentiva di aver operato bene, stabilendo dei buoni rapporti con la popolazione». I suoi amici di Londra organizzarono una petizione già nel dicembre del 2013 in cui chiedevano a chiunque avesse qualche influenza di adoperarsi per la sua liberazione. Iniziativa replicata il 19 gennaio del 2014, per l'anniversario del suo rapimento, con l'appello lanciato dal Forum del Terzo Settore al governo italiano e ai direttori dei giornali «per rompere il muro del silenzio». La vicenda però si è ingarbugliata fin dall'inizio, con la rivendicazione di al Qaeda del sequestro, subito smentita. Più volte il Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP), principale movimento armato anti-governativo, ha negato di avere in mano Lo Porto.



L'uccisione del cooperante italiano Giovanni Lo Porto nel corso di un raid americano in Pakistan riporta alla memoria la vicenda di Nicola Calipari, funzionario del Sismi ucciso da militari americani in Iraq durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, il 4 marzo 2005. Calipari era in auto con l'inviata del Manifesto, rimasta per un mese nelle mani dei suoi rapitori, ma sulla via dell'aeroporto di Baghdad è rimasto vittima dei colpi di arma da fuoco sparati da un posto di blocco americano. Secondo alcune fonti, i soldati americani avrebbero inavvertitamente esploso dei colpi d'arma da fuoco contro l'auto con a bordo la Sgrena. Altre fonti affermano invece che i colpi sarebbero stati esplosi da soldati a bordo di un altro veicolo militare Usa, a cui il convoglio con la Sgrena si sarebbe avvicinato senza tener conto del grosso fanale posteriore che intima di tenersi a distanza di sicurezza. Nella sparatoria, Calipari ha protetto con il suo corpo la Sgrena, che è rimasta ferita (a una spalla) così come altri due agenti del SISMI che erano in auto assieme alla giornalista italiana.



A pagare tragicamente con la vita, nel giorno che avrebbe invece dovuto essere solo quello dei festeggiamenti per la liberazione della giornalista italiana, è stato così uno degli uomini che erano stati coinvolti nei discreti contatti con i suoi rapitori e, ancor prima, anche in quelli sfociati nel rilascio di Simona Torretta e Simona Pari, le due volontarie rapite nel settembre scorso a Baghdad e rilasciate dopo tre settimane di prigionia.