Hong Kong sfida Pechino: un milione in strada contro l'estradizione in Cina

Foto di Lam Yik Fei, via Twitter
Foto di Lam Yik Fei, via Twitter
di Erminia Voccia
Martedì 11 Giugno 2019, 10:46 - Ultimo agg. 12:49
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Centinaia di migliaia di persone, forse un milione secondo gli organizzatori, hanno invaso le strade di Hong Kong domenica 9 giugno 2019. Le proteste di domenica sono state le più sentite degli ultimi 15 anni, era almeno dal 2003 che ad Hong Kong non si registrava una mobilitazione popolare tanto imponente. Domenica i cittadini di Hong Kong hanno protestato contro un emendamento molto controverso della legge di estradizione che, se fosse approvato, consegnerebbe alla Cina continentale i cittadini sospettati di determinati crimini, anche senza un vero accordo di estradizione. Un emendamento criticato perché eroderebbe l'autonomia giudiziaria di Hong Kong e violerebbe i diritti umani, mettendo a rischio il rispetto delle libertà fondamentali e i valori democratici. La processione pacifica di domenica è iniziata nel primo pomeriggio ed è andata avanti fino a sera, quando i manifestanti hanno attraversato il centro di Hong Kong e hanno circondato gli edifici governativi. Nella notte, però, ci sono stati scontri violenti tra manifestanti e poliziotti, che hanno risposto con manganelli e spray urticanti.


Tens of Thousands people take part in the protest against the extradition law in Hong Kong. pic.twitter.com/bOxomc8XXP

— Lam Yik Fei (@LamYikFei) 9 giugno 2019
 
Le critiche derivano dal sospetto che il governo di Pechino adoperi lo strumento di legge per liberarsi di dissidenti politici e di persone non gradite al Partito comunista cinese. Molti contestatori hanno dichiarato di non avere grandi speranze che l'emendamento venga bloccato, ma allo stesso tempo non sarebbero disposti ad arrendersi senza combattere. Alcuni hanno commentato al giornale South China Morning Post che esercitare il diritto alla libertà di espressione e invadere le strade è insito nel DNA degli abitanti dell'ex colonia britannica, passata alla Cina nel 1997 con la formula “un Paese, due sistemi”. Una formula che garantirebbe ad Hong Kong, regione ad amministrazione speciale, l'autonomia dal governo cinese ma che secondo gli hongkonghesi Pechino continua a minacciare. Per il governo cinese, Hong Kong fa parte della Cina e rappresenta una sfida alla sicurezza nazionale. Da un punto di vista esterno e occidentale, l'emendamento è giudicato rischioso anche per la credibilità di Hong Kong quale centro finanziario globale.
 

Il primo luglio del 2003 i leader della Repubblica Popolare furono sorpresi dalle proteste che portarono in strada quasi mezzo milione di persone contro il governo guidato da Tung Chee-hwa. Allora, le proteste nascevano dalle contestazioni per la cattiva gestione dell'emergenza Sars e contro un disegno di legge sulla sicurezza nazionale. Dopo 4 giorni il governo cedette e accantonò la proposta di legge. Nel 2003, come oggi, c'era un senso diffuso di pessimismo, eppure in quel caso la democrazia vinse. Pare, tuttavia, assai difficile che questa volta la leadership locale abbandoni i propositi, nonostante abbia assunto un tono conciliatorio. Le proteste memorabili del 9 giugno 2019 sono state anche l'occasione in cui si è tornato a riunire il fonte pro-democrazia di Hong Kong che ha ispirato il movimento Occupy, il cui fallimento sarebbe in parte imputabile alla frammentazione interna.

I cittadini di Hong Kong non mostrano di volersi piegare alle autorità di Pechino. Lo scorso 4 giugno decine di migliaia di persone hanno affollato il centro di Hong Kong in occasione del 30esimo anniversario delle proteste di Piazza Tiananmen, proibite in Cina e ammesse solo lì e a Macao. Quasi 180 mila persone avrebbero preso parte alla veglia organizzata a Victoria Park.
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