Il ricordo di Martin Luther King, il presente di Donald Trump: un'America mai così distante da se stessa

Il ricordo di Martin Luther King, il presente di Donald Trump: un'America mai così distante da se stessa
di Luca Marfé
Lunedì 15 Gennaio 2018, 15:21
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NEW YORK - Nel cinquantenario della sua morte, l’America ricorda un gigante e celebra il Martin Luther King Day. Le parole dell’attivista e Premio Nobel per la Pace non hanno mai smesso di riecheggiare tra le menti, i volti e la politica di questo Paese, ma, mai come quest’anno, assumono una rilevanza ed un peso ancor più particolare. Quest’anno che alla Casa Bianca c’è Donald Trump.

Trump che, mentre altrove ci si riunisce e si prega per un eroe indimenticato, avverte la necessità di rivolgersi a giornalisti e telecamere con l’ennesima affermazione destinata a lasciare un segno, evidentemente negativo, di incredulità generale:

«Io non sono razzista. Io sono la persona meno razzista che tu abbia mai intervistato».



La scena è quella dell’International Golf Course di Palm Beach in Florida, la domanda fa leva sulle presunte volgarità rivolte agli oramai famigerati «cessi di Paesi».

Ebbene, il solo fatto che un presidente degli Stati Uniti senta il bisogno di rimarcare in maniera così plateale un concetto del genere, che nel terzo millennio si spera possa invece essere cosa assodata, è di una gravità assoluta. Difficile anche soltanto da riportare. Consegnato nelle mani di una Storia che, un giorno, esprimerà il suo severo giudizio al riguardo.

Insomma, una figura e tante uscite, tutte fuori luogo, tutte confuse, che stridono come più non si potrebbe con il ricordo di chi, viceversa, nel tentativo di unire la sua America sotto le bandiere della fratellanza ha vissuto e speso la propria vita. Fino a perderla, su un balcone del secondo piano del Lorraine Motel di Memphis alle 18:01 del 4 aprile 1968. Un colpo di fucile di precisione alla testa. Per un uomo, morto ma mai scomparso, che agli Stati Uniti di oggi ha ancora tanto da dire.

«I have a Dream…»



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