Usa e Iran ai ferri corti, l’ombra della guerra

Usa e Iran ai ferri corti, l’ombra della guerra
di Luca Marfé
Venerdì 17 Maggio 2019, 11:30
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Nessuno vuole nessuna guerra. L’ombra che da Washington arriva fino a Teheran, però, si allunga nera.

I negoziati sul nucleare si sono interrotti, Trump si è stancato oramai più di un anno fa, Rouhani ha fatto della minaccia la sua maniera di governare. E in questo, i due leader si assomigliano: presi dalle rispettive personalità agitate, resi un po’ sordi dalle grida delle loro stesse voci.

Al tavolo traballante di Stati Uniti e Iran di pazienza non ce n’è. E dunque, per quanto il tycoon sia assai più propenso ad alimentare la narrativa di un possibile conflitto che non un conflitto vero e proprio, la provocazione iraniana di sbandierare l’arricchimento dell’uranio come un drappo rosso sotto gli occhi degli americani potrebbe scatenare un effetto domino di conseguenze incalcolabili per il mondo intero.

Le manovre militari proseguono fitte, in un Medio Oriente ogni giorno un po’ più blindato, sia da una parte che dall’altra. Qualcuno legge delle mosse addirittura precedenti dei principali alleati occidentali, con gli Emirati Arabi Uniti e con l’Arabia Saudita che si starebbero preparando allo scontro già da tempo.

A Teheran, paradossalmente, regna la calma di un popolo più sprezzante che spaventato. Il cui disprezzo è amplificato dalle parole dell’ayatollah Khamenei che etichetta come «veleno» il demone a stelle e strisce ed in particolare questa Casa Bianca.

Al di là della zuffa politico-mediatica, però, deve preoccupare il ventaglio di episodi che si stanno accavallando o peggio ancora costruendo attorno al Golfo Persico.



Prima il sabotaggio operato a danno di due petroliere, poi uno sciame di droni che bombarda un oleodotto strategico.

Tutto a danno dei sauditi, tutti a puntare il dito contro l’Iran.

E il fatto che al riguardo dell’una e dell’altra circostanza non ci sia uno straccio di prova è ulteriormente inquietante.

Perché George W. Bush e l’Iraq del 2003 sono la dimostrazione che, se necessario, gli Stati Uniti le prove sono bravissimi a fabbricarsele.

A Trump la chance di essere un presidente migliore.

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