«Ambasciata a Gerusalemme», è bufera dopo la mossa di Trump

«Ambasciata a Gerusalemme», è bufera dopo la mossa di Trump
di Anna Guaita
Mercoledì 6 Dicembre 2017, 10:16 - Ultimo agg. 16:39
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NEW YORK - Gli occhi del mondo saranno puntati su Donald Trump oggi, quando dal podio della National Defense University, a Washington, terrà un discorso in cui promette di annunciare un radicale cambiamento della politica Usa nei confronti di Israele e Palestina. Da giorni ci si aspetta che Trump decida sulla sorte dell'ambasciata americana in Israele, e chiarisca se davvero vuole mantenere la promessa elettorale di trasferirla da Tel Aviv a Gerusalemme. Voci bene informate sostenevano ieri sera che Trump ha deciso di riconoscere Gerusalemme come legittima capitale dello Stato israeliano, ma continuerà a tenere l'ambasciata a Tel Aviv per almeno altri sei mesi.

Dal 14 maggio 1948, quando il presidente Harry Truman riconobbe formalmente il nuovo Stato ebraico, appena 11 minuti dopo che nell'ex protettorato britannico venne formato il governo, l'ambasciata Usa è stata a Tel Aviv, così come quella di molti altri Paesi. L'opinione della diplomazia mondiale è che il futuro di Gerusalemme debba essere al centro di un accordo israeliani-palestinesi, e non possa essere deciso prima che il negoziato sia finito. Ma il negoziato «definitivo e finale» che Trump aveva promesso, e che aveva affidato al genero Jared Kushner, sembra non andare da nessuna parte. E per questo vari esponenti del Medio Oriente, così come vari alleati europei, hanno pregato Trump di evitare un passo che già ieri il segretario generale dell'Olp, Saheb Erekat, aveva definito «provocatorio politicamente» e che «squalificherebbe gli Usa come mediatore imparziale». Il capo della Lega Araba Abul Gheit ha ammonito sulla possibilità di esplosioni di «fanatismo e violenza», mentre Hamas ha già annunciato tre giorni «di rabbia» e manifestazioni.
 
E sono molti a temere che le manifestazioni possano degenerare, come successe nel 2012. Non è un caso che giorni fa il Dipartimento di Stato abbia inviato due cablogrammi di ammonimento alle varie sedi diplomatiche nel medio oriente, perché aumentino la sicurezza. Trump ha parlato delle sue intenzioni al telefono sia con il leader dell'Autorità Palestinese Abu Mazen che a sua volta ha ammonito Trump «dei pericoli di una tale decisione sul processo di pace, la sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo», sia con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, del quale è diventato amico oltre che forte alleato. E se era prevedibile che la reazione israeliana fosse di soddisfazione, quella dei palestinesi è stata ben diversa: Abu Mazen ha fatto appello sia al Pontefice che a Vladimir Putin perché tentassero loro di dissuadere Trump. Il presidente lunedì ha anche spiegato la sua posizione al re di Giordania Abdallah e al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, e tutti e due questi leader, a capo degli unici Paesi arabi che abbiano firmato un accordo di pace con Israele, hanno sottolineato con Trump i rischi di reazioni violente e soprattutto di destabilizzazione di una regione già in estrema tensione.

La Turchia si trova addirittura unita, sia i sostenitori del presidente Erdogan che i partiti di opposizione laica, nel contestare un simile passo. Erdogan ha avvertito Trump che riconoscere Gerusalemme capitale di Israele è «una linea rossa per i musulmani» e potrebbe portare alla rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con Israele. In Europa il passo più forte l'ha fatto il presidente francese Emmanuel Macron, che ha personalmente cercato Trump per dissuaderlo dal fare l'annuncio ed esprimento «preoccupazione». Il Segretario di Stato Rex Tillerson ha parlato della scelta di Trump con i 28 ministri degli Esteri della Ue e con l'alto rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini. Ma Tillerson non ha trovato in Europa labbraccio amichevole a cui gli americani sono abituati. Mogherini lo ha subito criticato sia per il tentativo della Casa Bianca di disconoscere il trattato sul nucleare iraniano, ma anche per l'ipotesi di portare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. L'ambasciatore del Lussemburgo, Jean Asselborn, è stato lapidario: «Sarebbe come buttare benzina sul fuoco».
 

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