Kiev, dagli affari alla movida: ecco la ripartenza di una capitale

Kiev, dagli affari alla movida: ecco la ripartenza di una capitale
Kiev, dagli affari alla movida: ecco la ripartenza di una capitale
di Mirco Paganelli
Mercoledì 1 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 13:05
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Se la primavera è il mese della rinascita, quella di Kiev ha una valenza ancora più forte. La capitale ucraina si trova a vivere una «nuova normalità», come la definiscono gli abitanti rientrati in città dopo i mesi passati a vivere da rifugiati a seguito dell’assedio russo. Le vie del centro ora sono ogni giorno più frenetiche, anche se le criticità restano. La più grossa: la carenza di carburante. Eppure c’è chi ha trovato il modo di adattarsi come l’officina di biciclette, con annessa caffetteria, “Lifecycle” del 39enne Oleksii Khvorostenko. «Appena è cominciata la guerra è sembrato subito chiaro che ci sarebbe stata una crisi di carburante. Ed eccola qua», dice dal suo divano di pelle tra copertoni e chiavi inglesi. «Da tempo avevamo investito nella produzione di cargo-bike per consegnare pacchi. Senza benzina sono un grande vantaggio». Gli affari per lui andavano bene da tempo. «Negli ultimi anni a Kiev c’è stato un boom della bicicletta, da quando con la pandemia era venuto meno il trasporto pubblico. La comunità di ciclisti è esplosa», racconta. La saracinesca non l’ha mai abbassata nemmeno quando i primi razzi colpivano la periferia. «Eravamo pronti a lavorare in qualsiasi condizione». Lui e il suo team hanno cominciato a spedire beni umanitari pedalando nella città spettrale. Oleksii si è allontanato dalla sua officina solo per alcuni giorni per portare la propria famiglia in salvo al confine con la Polonia dove si trova tutt’ora. Una volta rientrato, il lavoro si è fatto più intenso. «Lavoriamo tutti i giorni dalla mattina alle 21, compresi i weekend». 

Il quartiere in cui si trova, Podil, è diventato di tendenza. Qui il 28enne Mirali Dilbazi ha scelto di aprire un ristorante che porta il suo nome.

L’avvio è stato un travaglio. Nel febbraio del 2020 stava progettando gli interni con il suo designer quando il Covid ha fermato tutto. Nell’autunno dell’anno scorso l’apertura è stata un successo con i tavoli prenotati per settimane, ma l’avvio delle ostilità da parte di Mosca ha comportato la seconda battuta d’arresto. «Già da prima le cose erano peggiorate – racconta lo chef -. La gente iniziava a capire che la guerra sarebbe arrivata». Come moltissimi ucraini, lui e il suo team hanno sentito da subito l’urgenza di darsi da fare e così hanno iniziato a cucinare i pasti per i soldati sparsi nelle postazioni della città. «Ne preparavamo fino a 500 al giorno con i prodotti che riuscivamo a reperire». 

Il 16 maggio la seconda rinascita. «Non siamo ancora tornati ai livelli pre-guerra, ma le cose migliorano di giorno in giorno. – afferma Mirali -. La gente sta tornando a Kiev e ha sempre più voglia di uscire». Ciò che prevede è «un salto di qualità entro l’estate». La guerra ha però cambiato il suo format. «Non ci sembrava etico far spendere molti soldi ai clienti, così abbiamo convertito il locale in un bistrot». La filosofia resta la stessa: prodotti di stagione locali «per sostenere i produttori ucraini». 

La guerra è stata una batosta per chi ha come clienti le aziende, come l’agenzia di comunicazione Angry. A portarla avanti c’è una squadra di giovani creativi che si sono trasferiti a Leopoli il secondo giorno di guerra. Dopo due mesi hanno però deciso che era tempo di tornare a casa. «La nostra routine è cambiata – spiega Dasha Andriushchenko -. Non andiamo più in ufficio perché è al decimo piano e non è sicuro». Il suo riferimento è al rischio missili. I progetti commerciali sono carenti, perché le aziende si sono trasferite altrove. «Siamo in una situazione di instabilità», ammette. «Tutto è congelato. I primi mesi di guerra abbiamo svolto solo progetti di volontariato: campagne informative per spiegare cosa succedeva a Kiev e per provare a cambiare la mentalità del popolo russo. Ma non ha funzionato, così ci siamo dedicati a progetti culturali». Hanno cioè iniziato a lavorare con artisti internazionali che al momento hanno più disponibilità economiche. 

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Il loro ufficio è diventato un cafè nel quartiere della Porta d’oro. La loro voglia di lavorare è grande, pari a quella di adattarsi alla nuova normalità della capitale di un Paese che è ancora in guerra. Per la co-fondatrice dell’agenzia, Inna Polshyna, nata a Mosca e trasferitasi a Kiev, sarà importante anche in futuro dare un contributo con il proprio lavoro per «controbilanciare la propaganda russa». Ciò che ha in mente è un progetto comunicativo che miri a spiegare l’identità ucraina e la sua storia. «La Russia è un regno di bugie – dichiara netta – Noi siamo un Paese sovrano. Vogliamo tutti vincere questa guerra e la vinceremo». È Inna a dare il senso di questa nuova esistenza cittadina. «La nostra vita non è normale, siamo entrati in un’altra dimensione. Siamo in un equilibrio di guerra». Raccontarlo e farlo capire alla gente di tutto il mondo, dice, farà parte della loro missione informativa.

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