La Cina viola i diritti umani dei musulmani

La Cina viola i diritti umani dei musulmani
di Erminia Voccia
Giovedì 20 Settembre 2018, 10:48
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«Mi hanno confinato in una cella da due metri per due, non mi davano né cibo, né acqua. Avevo le mani legate dietro la schiena e mi hanno costretto a stare in piedi per 24 ore senza dormire». La testimonianza di un ex detenuto nei campi di rieducazione cinesi per uighuri pone l'attenzione su una tragedia che è tornata all'ordine del giorno nelle ultime settimane.

Human Rights Watch ha diffuso recentemente un rapporto sulla campagna di repressione portata avanti da Pechino nei confronti della popolazione uighura nella regione cinese dello Xinjiang. L'organizzazione che difende i diritti umani ha accusato il governo cinese di detenere illegalmente almeno un milione di persone in campi di “rieducazione politica”, dove gli uighuri, musulmani di lingua turcofona, sarebbero sottoposti a torture e abusi. Lunedì 10 settembre, nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani dell’Onu, l’alto commissario Michelle Bachelet ha definito profondamente allarmanti le condizioni di vita dei musulmani dello Xinjiang. 

L'ufficiale del governo cinese Hu Lianhe ha respinto le accuse, dichiarando davanti alla Comitato per l'eliminazione delle discriminazioni razziali dell' Onu (CERD) che non esiste alcuna forma di detenzione arbitraria. Mentre Hua Chunying, portavoce del Ministro degli Esteri cinese, ha affermato che le accuse relative ai campi di detenzione si basano su informazioni non verificate.

Secondo Human Rights Watch, Pechino controlla costantemente ogni aspetto della vita quotidiana di quasi 13 milioni di musulmani che vivono in una delle aree più esterne della Cina occidentale. Le forze di polizia cinese arrivano a perquisire le case degli uighuri e a sequestrare il Corano e i tappeti usati durante le preghiere. Chi prega 5 volte al giorno viene arrestato e subisce maltrattamenti come la privazione del sonno o le bruciature di sigaretta sul viso, ha raccontato Afp. L'Islam è vietato nello Xinjiang al punto tale che è proibito portare la barba o indossare abiti che possano “incitare al fanatismo religioso”, mentre ai bambini viene negato l'insegnamento della religione, riferisce ancora Human Rights Watch. Lo scopo del governo di Pechino è cancellare l'identità degli uighuri per assimilarla alla cultura han, l'etnia dominate in Cina, e sradicare il desiderio di indipendenza. Come fa da tempo anche con i tibetani, la Cina sta cercando di annientare l'eredità culturale uighura svuotandola di significato.




Organizzazioni come Human Rights Watch cercano di incitare i governi stranieri perché si mobilitino contro la Cina. L'atteggiamento più diffuso verso Pechino è sempre teso a preservare gli interessi economici a discapito della richiesta di maggiore rispetto per i diritti umani. Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Repubblica Popolare stanno però cambiando il corso degli eventi. Un gruppo di politici, sia democratici che repubblicani, a fine agosto aveva avanzato la proposta di imporre sanzioni ad alcuni ufficiali cinesi per gli abusi compiuti sugli uighuri dello Xinjiang. Il gruppo, capeggiato dal senatore Marco Rubio e dal membro della Camera Chris Smith, ha inviato una lettera al segretario di Stato Mike Pompeo e al segretario del Tesoro Steven Mnuchin per chiedere provvedimenti contro alcuni esponenti del Partito Comunista Cinese, tra cui Chen Quanguo, capo del partito nello Xinjiang. Un articolo del New York Times ha diffuso indiscrezioni sull'ipotesi che l'Amministrazone Trump stia appunto valutando di imporre sanzioni alla Cina per le violazioni dei diritti umani.

Il problema della discriminazione in Cina si lega all'estremismo islamico perché sin dal 2013 molti uighuri sono fuggiti dallo Xinjiang per combattere all'estero, dalla Siria all'Iraq, dall'Afghanistan alla Cecenia. Il gruppo terroristico Turkestan Islamic Party (TIP), affiliato ad al Qaeda, all'inizio della rivolta contro Assad ha creato una divisione apposita per arruolare in Siria i foreign fighter venuti dallo Xinjiang. Gli uighuri, almeno 5000 mila uomini secondo alcune stime, sono presenti in diverse zone del Paese, tra cui Idlil e Aleppo, e hanno giocato un ruolo decisivo in molte battaglie.

Per Pechino questo costituisce solo l'apice del problema. Il timore è che i foreign fighter, tornati in Cina, usino le tecniche di guerra apprese sul campo per compiere attentati, manifestando così il risentimento verso il governo cinese. Tra il 2013 e il 2014 la Cina ha assistito a un'ondata di attentati che ha provocato centinaia di vittime. La campagna anti-terrorismo lanciata nel 2015 ha dato i suoi frutti perché da allora non si è verificato nessun attacco, ma adesso la fiamma del risentimento degli uighuri potrebbe riaccendersi e bruciare più forte di prima.






























 
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