Azov e Marines non cedono: «Chi si è arreso ci disonora. A Mariupol pronti a tutto»

Azov e Marines non cedono: «Chi si è arreso ci disonora. A Mariupol pronti a tutto»
Azov e Marines non cedono: «Chi si è arreso ci disonora. A Mariupol pronti a tutto»
di Mauro Evangelisti
Venerdì 15 Aprile 2022, 07:03 - Ultimo agg. 11:20
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«Noi non ci arrendiamo, si vergogni chi ha disertato». Il video è stato caricato su YouTube mercoledì. I due protagonisti - Denis Prokopenko, colonnello del reggimento Azov, e il maggiore Serhiy Volyna, comandante della 36esima brigata dei Marines ucraini - spiegano di essere riusciti a unire le forze il giorno precedente, dunque martedì. Sono gli ultimi uomini che stanno resistendo a Mariupol, in gran parte ormai finita sotto il controllo dell'esercito russo a costo di almeno 20mila morti. Gli ucraini sono assediati nell'acciaieria, prima gli Azov (formazione di estrema destra inglobata nell'esercito) e i Marines erano separati, ma poi Volyna e una parte dei suoi sono riusciti a raggiungere il gruppo di Prokopenko. Altri invece hanno deciso di arrendersi: secondo i russi almeno un migliaio di Marines (questo è l'annuncio che hanno fatto ieri), mentre anche un militare inglese, Aiden Aslin, molto popolare nel Regno Unito, che era andato a combattere con gli ucraini, l'altro giorno ha annunciato che non aveva altra scelta se non consegnarsi al nemico, perché stavano finendo cibo e munizioni. Prokopenko (discusso ex leader della curva della Dinamo Kiev) e Volyna, nel loro messaggio, invece, spiegano: noi non ci arrendiamo, continuiamo a combattere. 

Più nel dettaglio, Prokopenko inizia il suo discorso con il classico «Gloria all'Ucraina!», poi aggiunge: «Ieri ci siamo riuniti con i valorosi combattenti del battaglione dei Marines, veri soldati, fedeli al giuramento e al popolo dell'Ucraina.

Questi uomini difendono e difenderanno la città di Mariupol insieme a noi. Questi sono uomini veri che hanno scelto la via della guerra. Non chiamate eroi quei disertori che si sono arresi. Hanno scelto la via della vergogna. Quelle persone non sono eroi». Il riferimento ovviamente è a quel migliaio di soldati che ha deciso di arrendersi e di cui ieri la tv russa ha mostrato immagini con le mani alzate. Volyna, nel video, prende la parola subito dopo Prokopenko e pronuncia parole simili: «Gloria all'Ucraina. Abbiamo realizzato con successo un'azione con il Reggimento Azov. Ci siamo riuniti a loro. Continueremo a svolgere delle missioni di combattimento. Il nostro morale è ancora forte, sappiamo cosa stiamo facendo e perché siamo qui. Siamo pronti a fare tutto ciò che è in nostro potere per completare con successo le missioni che ci aspettano». 

Video

Mariupol è la città martire di questa guerra, in cui, secondo le autorità locali, il 90 per cento degli edifici è ormai distrutto. Si trova a Sud-Est del Paese, non lontano dal confine con la Russia, e per l'esercito di Putin ha un valore strategico (ma anche simbolico) enorme, visto che controllarla serve a unire l'area che si affaccia sul Mar d'Azov con tutto il Donbass. Per questo ieri la tv russa ha rilanciato con molta enfasi i video dei 1.026 soldati con la mani alzate. Secondo il ministero della Difesa sono uomini della 36esima brigata dei Marines, tra di loro ci sono anche 162 ufficiali e 47 donne. Un altro gruppo, però, almeno questo emerge dal video caricato su Youtube, ha seguito il maggiore Volyna e si è unito alla Azov per quella che ormai ha tutte le caratteristiche di una missione suicida. Resistere a Mariupol, è la tesi degli ucraini, obbliga i russi a mantenere ancora un alto numero di uomini in città, rallentando così l'espansione verso Ovest.

«Mariupol era, è e continuerà a essere una città ucraina» ha ripetuto ieri il sindaco, Vadym Boichenko, che però non si trova più a Mariupol. Ha definito una fake news le notizie russa secondo cui il porto della città è stato preso dopo la resa dei militari ucraini. La sofferenza della popolazione non si ferma. Spiega il presidente della Croce rossa, Francesco Rocca: «Siamo pronti a portare aiuti, ma non ci fanno entrare». Secondo alcuni rifugiati che sono riusciti a raggiungere Dnipro «a Mariupol i corridoi umanitari sono quasi inesistenti, perché i militari russi non informano le persone chiuse nei rifugi. L'unico modo per uscire è andare in Crimea o Russia, dove alla frontiere alcuni ci dicono di essere stati umiliati e costretti a stare nudi di fronte ai soldati. Nella città manca cibo e continuano il saccheggio dei negozi, mentre molti sono stati costretti a bere acqua di neve. I primi a morire sono i bimbi più piccoli, per la fame». Il consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko, racconta su Telegram: «I russi dicono alla popolazione di indossare il nastro bianco, simbolo dell'invasione. Questi segni distintivi speciali ricordano la segregazione e la trasformazione di Mariupol in un vero ghetto».

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