Londra, altro che Brexit: forte spinta al ritorno degli studenti-lavoratori

Ospedali e settore della ristorazione sono alla disperata ricerca di manodopera

Londra, altro che Brexit: la spinta all’ingresso degli studenti lavoratori
Londra, altro che Brexit: la spinta all’ingresso degli studenti lavoratori
di Chiara Bruschi
Domenica 29 Gennaio 2023, 21:46 - Ultimo agg. 31 Gennaio, 08:57
4 Minuti di Lettura

LONDRA Agli studenti “overseas” - ovvero quelli che vengono da oltre mare, Europa inclusa da quando il Regno Unito è uscito dall’UE - il primo ministro britannico Rishi Sunak vuole affidare l’onore e l’onere di risolvere uno dei problemi più spinosi dell’era post-Brexit: colmare, almeno in parte, l’1,3 milioni di posti di lavoro vacanti, 500mila in più dei tempi pre-pandemia, zavorra che affossa sul nascere il suo ambizioso progetto di crescita economica. Il premier ha proposto di aumentare il monte ore lavorativo di 20 ore settimanali - imposto dalla legge agli studenti stranieri per evitare che il visto universitario diventi un cavallo di troia per lavorare nel Paese - a 30, o addirittura eliminarlo, per dare respiro a ristorazione e retail.


Un’idea che, sulla carta, potrebbe contribuire a un ritorno degli studenti europei a Londra, che si sono dimezzati a causa dei costi di iscrizione, ma che dall’altro lato si scontra con le ambizioni della ministra dell’Interno Suella Braverman, che spinge in direzione contraria.


RISTORANTI
Nell’hospitality c’è chi tira un timido sospiro di sollievo: «Non risolverebbe il problema ma aiuterebbe nel reclutamento - spiega Giuseppe Corsaro, proprietario di sette ristoranti nella capitale - prima della Brexit durante la stagione estiva avevamo decine di ragazzi del mestiere, magari già diplomati all’alberghiero, che ci bussavano alla porta con cv alla mano. L’estate scorsa ne sono entrati tre o quattro. L’impatto è stato traumatico, abbiamo dovuto cambiare strategia e affidarci ad agenzie». Più costoso e meno efficiente. E per l’assunzione degli studenti, il monte di 20 ore è un limite che sarebbe utile rimuovere anche se «non risolve il problema alla base. Questi studenti sono qui per arrotondare, poi se ne vanno e noi dobbiamo perdere altro tempo per formare nuove risorse». 


Sofia Cannone, originaria di Roma, ha 21 anni e studia Business management al King’s College di Londra.

Sta svolgendo un tirocinio di 15 ore e prima lavorava part-time in un ristorante. «Togliere il tetto delle 20 ore significherebbe darci qualche possibilità in più nella competizione con gli studenti inglesi, che non hanno alcun vincolo e hanno maggiore potenziale per crescere - spiega - Avevo deciso di trasferirmi a Parigi, dopo la laurea, perché qui ci sono troppi paletti per i neolaureati». 


Fabio Carolla sta finendo di studiare Storia ed economia politica. È originario di Benevento e a giugno inizierà il tirocinio finalizzato all’assunzione in Nomura, banca d’affari giapponese con sede a Londra. Lui, però, si è iscritto prima che Brexit entrasse in vigore: «Sono studente lavoratore - ci racconta - anche se il monte ore, facendo l’assistente di ricerca è relativo. Come si fa a quantificarlo? Sarei più contento se il limite venisse tolto. Se può funzionare da incentivo? Difficile. Il caro vita a Londra è proibitivo e lo resterà comunque. È come spegnere il fuoco gettando due gocce d’acqua… ancora una volta stanno dimostrando che la Brexit è un grande errore». Inoltre,

come precisa Alessandro Gaglione, presidente del Comites (Comitato degli Italiani all’estero), se questa proposta «da un lato darebbe la possibilità a chi viene a studiare in un paese molto costoso di avere un reddito», dall’altro «non deve diventare un piano B improvvisato, in cui siccome non si trova nessun altro, si finisce col far lavorare gli studenti». «Un conto è arrotondare - aggiunge - un altro è lavorare a tempo pieno. Come comitato, dobbiamo tutelare gli interessi dei connazionali quindi monitoreremo l’evolversi di questa proposta».


LA SANITÀ
Se questo escamotage può alleggerire momentaneamente lo stress nella ristorazione, è improbabile che possa aiutare il settore della salute pubblica, ora al collasso, e dove «le infermiere e gli infermieri italiani hanno sempre avuto un posto di primo ordine», aggiunge Gaglione. Raffaele Sorvillo, attualmente project manager al Kingston Hospital, conosce bene la situazione: «Dal 2016 al 2021 c’è stato un calo del 30% dello staff europeo. Nella sola Inghilterra mancano 45mila infermieri, ci sono 8,7 infermieri ogni mille abitanti, i paesi meglio attrezzati ne hanno dai 14 ai 18». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA