Sono trascorsi sette mesi ma non c'è una verità - quale essa sia - sulla morte di Diego Armando Maradona. Mentre a Napoli si consuma l'ennesima querelle tra il Comune e il Calcio Napoli sull'inaugurazione dello Stadio che è stato peraltro già dedicato al Pibe, in Argentina i magistrati non riescono a quadrare il cerchio su quanto accadde il 25 novembre in quello spoglio appartamento del Barrio San Andres a Tigre, e ovviamente prima, perché il nodo della vicenda giudiziaria - sette indagati per omicidio colposo con dolo eventuale, pena punita con il carcere da 8 a 25 anni - è come il Campione sia stato assistito.
Sette mesi e solo tanta confusione, con continui scambi di accuse tra i medici che assistevano Diego e i suoi familiari.
La giustizia - i magistrati della procura di San Isidro - deve fare il suo corso ma il mondo vorrebbe finalmente conoscere la verità sul decesso di un personaggio amatissimo. Era davvero ineluttabile il destino di Maradona? O la sciatteria dei medici e del suo clan, coordinato dall'avvocato Matias Morla, lo ha avvicinato alla morte? E, a proposito di Morla, l'avvocato Sebastian Baglietto, indicato come amministratore della successione, conferma di non aver ricevuto tutti i documenti sui beni di Diego per poter procedere alla suddivisione tra gli eredi, da Diego Junior, il figlio napoletano diventato appena allenatore del Napoli United in Eccellenza, a Diego Fernando, il piccolo di 8 anni.
C'è da dire che la relazione della commissione medica selezionata dai magistrati era stata chiara nello scorso maggio, con accuse nette al pool medico: Maradona non è stato adeguatamente assistito, Maradona è stato in agonia per dodici ore, Maradona è stato lasciato morire. Tesi che sono state confutate dagli avvocati del neurochirurgo Luque e degli altri indagati, che hanno cominciato a scaricarsi reciprocamente le responsabilità su questo giallo che non ha ancora la parola fine.