Morte di Maradona, la verità del dr Luque:
«Diego non aveva problemi»

Morte di Maradona, la verità del dr Luque: «Diego non aveva problemi»
di Francesco De Luca
Sabato 3 Luglio 2021, 09:08 - Ultimo agg. 19:33
4 Minuti di Lettura

La sua verità sui rapporti con Diego Armando Maradona e sulla fine del Campione argentino, oggetto di indagine della magistratura di San Isidro da oltre sette mesi, è in 87 pagine. E' il dossier che il dottor Leopoldo Luque, neurochirurgo e medico di fiducia del Pibe, ha consegnato nel giorno del suo interrogatorio. Ha ripercorso tutte le tappe di questo rapporto e, a più riprese, ha evidenziato un punto chiave nella sua difesa (è accusato con altre sei persone di omicidio colposo con dolo eventuale, reato che in Argentina prevede una pena da 8 a 25 anni, lo assiste l'avvocato Julio Rivas): «Non ero io ad occuparmi dell'assistenza domiciliare di Maradona».

I problemi cardiaci. C'è un altro punto su cui ha insistito Luque nella relazione: non riteneva che Maradona avesse gravi problemi cardiaci perché gli accertamenti effettuati negli ultimi anni non avevano evidenziato queste difficoltà, sebbene si sapesse che da tempo il cuore di Diego funzionava al 35 per cento a causa dell'abuso di cocaina.

Video

Ha esibito i referti e i tracciati dei controlli effettuati presso la clinica Olivos nel 2019 (ha citato il cardiologo Pablo Rivera) e nel settembre 2020, due mesi prima della morte dell'ex capitano del Napoli (i cardiologi Matias Antonetti e Oscar Franco avevano riferito di «leggere insufficienze»). «Il vero problema è che il paziente aveva un passato di 20 anni di consumo di droghe e alcol e io suggerii un trattamento psichiatrico e psicologico.

Gli esami effettuati non avevano evidenziato infermità renale cronica, problemi al fegato, insufficienza cardiaca. La commissione medica nella sua relazione si è basata su quanto è emerso nell'autopsia, non sugli esami effettuati in vita».

Luque ha contestato il lavoro della commissione e e ha chiesto che ne sia formata un'altra. La relazione dei periti è la base su cui i magistrati di San Isidro, coordinati dal procuratore capo Johan Broyard, imposteranno il processo a carico di Luque e delle altre sei persone, medici e infermieri che avrebbero dovuto assistere Diego.

Il ricovero domiciliare. Per questi problemi di dipendenza Luque si rivolse quindi alla dottoressa Agustina Cosachov, che affrontò il problema dell'alcol, anche se vi fu poi un'altra emergenza, quella dell'operazione alla testa nei primi giorni di novembre. Luque precisa che aveva già pensato a un ricovero in una struttura per Diego, quando lo vide camminare a fatica nel video del 30 ottobre, giorno del sessantesimo compleanno del Campione. Dopo l'operazione, il direttore sanitario della clinica Olivos, Pablo Dimitroff, suggerì il ricovero di Diego presso una struttura. «Ma il paziente rifiutò e non esistevano le condizioni per internarlo contro la sua volontà». La famiglia - sottolinea Luque - predispose il ricovero domiciliare, scegliendo di affidarsi ai dottori Cosachov (psichiatra) e Carlos Diaz (psicologo) e a una collaudata agenzia di assistenza, la Meridom, che si occupò di Maradona dall'11 al 25 novembre.

Le quattro visite. E Luque, l'amico medico? «Io ero fuori dai due sistemi di assistenza, che peraltro non si relazionavano tra di loro. Non ho ricevuto alcun report». Secondo il neurochirurgo, dunque, esistevano due staff sanitari che non si confrontavano. «Io mi limitavo a seguire gli aspetti neurochirurgici. In quattordici giorni ho fatto quattro visite». Lo specialista puntualizza nelle 87 pagine di non aver visto problemi così gravi da far pensare a una imminente fine di Maradona, o che comunque non erano queste le indicazioni fornite dai suoi “informatori”. Si basava su audio whatsapp e su foto che gli venivano spedite: evidentemente poco per valutare lo stato di salute di un paziente complesso. C'è un duro attacco alle figlie di Diego, poi. «I pazienti vivono con i familiari e gli amici mentre di Diego Armando Maradona (lo chiama DAM nella relazione, ndr) si occupavano i suoi collaboratori». Emerge, peraltro, una nuova figura, quella del dottor Di Spagna, «che le figlie (di Maradona, ndr) scelsero come coordinatore clinico». La commissione, di fatto ricusata da Luque, ha evidenziato lo stato di abbandono di Diego, che fu in agonia per 12 ore. Ma secondo Luque un'agonia non può durare così a lungo e comunque «io non ero presso il domicilio di Maradona e venni avvisato dal suo collaboratore Maxi Pomargo alle ore 12». L'ora del decesso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA