Maradona, dieci mesi senza verità: «Non connetteva dopo il cambio di cure»

Maradona, dieci mesi senza verità: «Non connetteva dopo il cambio di cure»
di Francesco De Luca
Venerdì 24 Settembre 2021, 17:14 - Ultimo agg. 25 Settembre, 08:56
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A dieci mesi dalla morte di Diego Armando Maradona - 25 novembre - ci sono sette indagati tra medici e infermieri con l'accusa di omicidio con dolo eventuale, una pena che va dagli 8 ai 25 anni di reclusione in Argentina. Ma non c'è una verità, quella che attendono i familiari del Campione e il suo mondo, il suo popolo diffuso su tutta la terra. Si sa che quel giorno, alle ore 12 di Buenos Aires, l'ex capitano del Napoli e della nazionale argentina è morto per un edema polmonare e un arresto cardiaco. Ma si sa anche che era stato assistito male, anzi per niente, dopo l'operazione al cervello di inizio novembre, secondo i risultati della perizia della commissione medica incaricata dai magistrati di San Isidro, che continuano ad ascoltare testi.

L'ultimo in ordine di tempo è stato un ex fidanzato di Gianinna Maradona, figlia di Diego e Claudia Villafane. È un avvocato, Luciano Strassera, ed era rimasto in rapporti con il Pibe anche dopo la fine della relazione con la ragazza, attualmente impegnata con Daniel Osvaldo, l'ex attaccante della Roma.

La testimonianza di Strassera ai magistrati di San Isidro è l'ennesima conferma dell'assenza di un'adeguata assistenza per un uomo che aveva problemi fisici e psichiatrici, provocati dalle dipendenze.

Strassera ha ricordato quali fossero le (preoccupanti) condizioni di Diego da agosto ad ottobre, poco prima che compisse 60 anni, venisse operato al cervello e morisse. «Dopo un cambio di terapie non connetteva più: dormiva sempre, non riusciva ad essere lucido ed era sempre solo. E solo, in quelle condizioni, non doveva stare». L'avvocato era stato chiamato da Maradona che voleva rimettersi in forma in vista della festa dei 60 anni. Si allenavano spesso insieme. «Ma in quei mesi, considerate le condizioni, non era possibile. Faceva faticare a camminare e il suo assistente Maxi Pomargo mi disse che era stata la dottoressa Cosachov (psichiatra, tra i sette indagati per la morte di Maradona, ndr) a cambiare la terapia. Un altro medico, Luque, ci diceva che i controlli medici avevano dato buoni responsi ma noi i referti non li vedevamo mai. E con Diego era complicato parlare perché cambiava continuamente numero di telefono». Perché il suo clan lo isolava, anzi lo nascondeva. 

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Ci sono particolari che descrivono bene qual era la situazione poco prima del 25 novembre. Nel giorno dei suoi 60 anni «Diego dormiva sempre», ha sottolineato Strassera nella testimonianza. E «non riusciva a vedere i suoi gol in tv: eppure era la cosa che gli piaceva di più». Era un altro l'interruttore che si stava spegnendo, non quello del televisore. E, al contrario di quanto quelli del clan hanno dichiarato davanti ai magistrati o in tv, Maradona non si è lasciato morire. Sarebbe una conclusione assolutoria - per gli indagati - della vicenda e invece no, Strassera ai magistrati ha dichiarato: «Diceva che a 60 anni si sentiva a metà della sua vita e voleva viverne altri 60». 

Nessuno tra i familiari, gli amici e i tifosi di Diego - quelli che lo hanno sentito come un padre, un fratello, un figlio a Napoli come in tutti gli altri posti del mondo - vuole una giustizia sommaria. Ma quasi un anno appare come un lasso di tempo sufficiente per stabilire la verità su quanto accaduto mentre va avanti lo scontro tra i cinque figli eredi del Pibe e chi curava i suoi affari commerciali, l'avvocato argentino Matias Morla e l'imprenditore napoletano Stefano Ceci. Sembra sempre più vera quella storia: Maradona aveva (o poteva avere) il mondo ai suoi piedi, ma Diego era stato sempre solo. Anche in quel tragico giorno.

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