Maradona, è una soap opera: due mesi dopo la morte non c'è ancora la verità

Maradona, è una soap opera: due mesi dopo la morte non c'è ancora la verità
di Francesco De Luca
Sabato 6 Febbraio 2021, 12:00
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Diego non ha pace. Neanche a due mesi e dodici giorni dalla sua morte, avvenuta la mattina del 25 novembre nel Barrio San Andres a Tigre, 25 chilometri da Buenos Aires. Intorno a quel corpo che rallegrò il mondo danzano personaggi che si lanciano reciproche e gravi accuse su quanto accadde in quelle ore drammatiche - una dinamica su cui lavorano i magistrati della procura di San Isidro, coordinati dal procuratore capo John Broyard - e sull'eredità del Campione. Sebastian Baglietto, amministratore della successione, attende che tutti gli atti siano depositati da parte dell'avvocato Matias Morla, che aveva potere di firma per la Sattvica SA, la società che gestiva marchi e contratti del Diez. La storia si è arricchita di un nuovo capitolo dopo le dichiarazioni di Mariano Israelit, amico del cuore di Diego: «Quando tornò dal Messico, dopo aver allenato i Dorados di Sinaloa, mi disse che aveva cien palos verdes, cento milioni di dollari. Dove sono?».

Dalma e Gianinna Maradona sono nate nell'87 e nell'89, gli anni del primo scudetto e della Coppa Uefa del Napoli. Con il padre hanno avuto scontri durissimi, al punto che Diego dichiarò nel 2019: «A loro non lascerò un centesimo». Questo perché si erano schierate dalla parte della madre Claudia, trascinata dall'ex marito in tribunale con l'accusa di furto. Dopo la cerimonia funebre del 26 novembre, asciugate le lacrime, le due donne hanno tirato fuori gli artigli e si sono scagliate contro Morla che aveva coordinato negli ultimi anni l'entorno di Diego con il principale obiettivo di isolarlo. Dalma e Gianinna accusano sui social l'avvocato di cattiva gestione degli affari e delle cure del padre, la riservatezza non è mai stata nello stile dei Maradona.

Pochi giorni dopo la cerimonia funebre, Dalma scrisse a Morla: «Meno male che non sei venuto al funerale, ti avrebbero gridato assassino». Recenti gli ultimi post: «Sei un figlio di puttana» e «Le teste cadranno una ad una». Li ha scritti dopo aver letto il contenuto degli inquietanti whatsapp scambiati tra i medici Leopoldo Luque e Agustina Cosachov il 25 novembre. «Sei tu che hai portato Luque». Gianinna è andata oltre. È stata chiamata in causa da Mariano Baudry, legale del fratellino Diego Fernando, a proposito di un anello da 300mila dollari che Maradona aveva ricevuto in dono dal club bielorusso Dinamo Brest di cui era presidente onorario: «Ce l'ha Gianinna». E lei, sempre sui social: «Tutti complici se mi uccidono cercando un anello che non ho».

 

Morla, il legale dei vip argentini e dunque anche di Maradona, con cui era in assoluta simbiosi. Partecipazioni a talk show televisivi, copertine di giornali di gossip, una vita sempre in prima fila. Ma dopo il 25 novembre, escludendo alcuni messaggi di addio «a un buon figlio e una persona onesta», Morla è scomparso. Nel giorno delle esequie di Diego aveva scritto un lungo messaggio sui social per annunciare una denuncia alla magistratura sul ritardo nei soccorsi al Barrio San Andres. La realtà, emersa nell'inchiesta, è tutt'altra: Maradona è stato abbandonato ai medici che avevano assicurato piena ed efficace assistenza ai responsabili della clinica Los Olivos, contrari al ritorno a casa dopo l'operazione al cervello. Morla ha lasciato che a parlare fosse il collega Mauricio D'Alessandro, che in un'intervista a Il Mattino ha puntualizzato: «C'erano circa sessanta persone che prendevano soldi tutti i mesi da Maradona. I marchi non spettano agli eredi, ma alla società Sattvica SA».

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Il personaggio più inquietante di questa triste storia è Leopoldo Luque. Neurochirurgo, medico del jet set argentino (con un'ombra relativa a una denuncia penale nel 2011 per una rissa in cui vi fu un morto), piazzato da Morla al fianco del Campione. Aveva cominciato a seguirlo quando Diego si sottopose alla terapia del sonno per curare alcuni disturbi neurologici. Il 3 novembre fu nella sala operatoria della clinica Los Olivos e poi ai giornalisti descrisse l'intervento al cervello di Maradona: si sarebbe scoperto che non lo aveva effettuato lui. Luque e la psichiatra Cosachov avrebbero dovuto occuparsi della gestione di Diego dopo l'operazione. Ai magistrati fu subito chiaro che non lo fecero in maniera adeguata e sono stati indagati per omicidio colposo. Le ultime parole del neurochirurgo, in lacrime, sono state ascoltate cinque giorni dopo la morte di Maradona: «Era un paziente ingestibile, gli ho allungato la vita». Poi il silenzio, fino ai whatsapp diffusi dai media argentini. Luque, che non era in quella casa il 25 novembre, inviava messaggi e audio alla collega Cosachov per essere aggiornato sui soccorsi: «Fammi sapere se ce l'hanno con noi». In quegli istanti, mentre la Cosachov chiedeva alla cuoca Romina Milagros detta Monona di tentare la respirazione artificiale, Luque commentava con un amico: «Il grassone morirà di merda». Diego, il grassone, poteva essere salvato, come ha dichiarato Ernesto Cahe, per 31 anni medico di fiducia di Maradona, ai magistrati di San Isidro: «Avrebbe dovuto avere un controllo costante, la morte era assolutamente evitabile».

Da molti anni l'entorno di Maradona assicurava che aveva smesso con la droga. Falso. Luque, pochi giorni dopo l'operazione del 3 novembre, aveva scritto a Maxi Pomargo, segretario di Diego, di essere preoccupato per l'uso di marijuana: «La troverebbero nell'autopsia». Quale autopsia? Luque immaginava che Diego sarebbe morto e perché? A portare la droga in quella casa era tale Charly, ricercato dalla polizia. Nell'appartamento si trovava anche il nipote prediletto di Maradona, Johnny Esposito, figlio della sorella Maria e di Gabriel Esposito, pregiudicato argentino noto alla questura di Napoli negli anni 80 per i suoi rapporti con camorristi della Torretta e dei Quartieri spagnoli. «Mio zio si è lasciato morire», ha dichiarato Johnny in un'intervista televisiva, probabilmente a pagamento. La storia è diversa: niente venne fatto per salvarlo.

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