Mediterraneo, biodiversità a rischio: occhi sul recovery fund

Mediterraneo, biodiversità a rischio: occhi sul recovery fund
di Rita Annunziata
Mercoledì 28 Ottobre 2020, 12:51 - Ultimo agg. 13:52
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Il bacino del Mediterraneo, una regione che ospita oltre 512 milioni di individui e rappresenta una delle mete turistiche più ambite a livello globale con 360 milioni di arrivi solo nel 2017, rischia di implodere. Stando all’allarme lanciato dall’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) nel report State of the environment and development in the Mediterranean, l’area bagnata dal Mare Nostrum potrebbe essere esposta a danni ambientali irreversibili, a meno che non vengano intraprese «azioni urgenti e risolute» per porre un freno alle tendenze attuali.

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Secondo il rapporto, infatti, solo nel 2016 l’inquinamento atmosferico ha provocato oltre 228mila vittime nella regione e il 15% dei decessi è attribuibile a fattori ambientali.

Più di 730 tonnellate di rifiuti di plastica ogni giorno vengono riversate nelle sue acque e l’area si sta riscaldando il 20% più velocemente rispetto alla media globale. «Se vogliamo proteggere il Mediterraneo per le generazioni presenti e future dobbiamo cambiare drasticamente il nostro rapporto con la natura», chiosa François Guerquin, direttore di Plan Bleu, uno dei centri di attività regionale del Mediterranean action plan dell’Unep che ha curato lo studio. «È in gioco il futuro della regione».

Sotto assedio anche la biodiversità, con oltre 1.000 specie esotiche che starebbero minacciando la sopravvivenza di quelle locali. Ed è proprio su questo fronte che non si lascia attendere il monito del WWF. Come si evince dal dossier La biodiversità in Italia: status e minacce elaborato sulla base dei dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, in Italia il 52% delle specie di fauna protette dalle direttive comunitarie sulla natura registrano oggi uno stato di conservazione “inadeguato” o “sfavorevole”, che sfiora il 55% nel caso degli invertebrati, il 64% per gli anfibi e l’80% per i pesci. Lo stesso vale per gli habitat che, stando allo studio, rivelano uno stato di conservazione “inadeguato” o “sfavorevole” rispettivamente per il 47 e il 39%, con picchi del 71% per gli habitat dunali.

Inoltre, esemplari di lince sono pressoché scomparsi nel nostro Paese, con meno di 10 soggetti prevalentemente transfrontalieri, mentre alcuni soggetti di cervo italico sono sopravvissuti solo nel Bosco della Mesola. Un segnale di speranza, invece, riguarda l’aquila di Bonelli che, minacciata dal prelievo illegale, risulta essere in ripresa grazie anche al rafforzamento della sorveglianza dei nidi, ma anche la lontra e la tartaruga marina Caretta caretta. 

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Secondo Marco Galaverni, direttore scientifico di WWF Italia, «è necessario dunque cambiare passo nella nostra capacità di conservare gli ecosistemi e le specie di casa nostra, vera base nascosta della nostra sopravvivenza e delle nostre economie». Investimenti «seri in conservazione e ripristino degli ecosistemi degradati», spiega, sono oggi possibili dedicando «una quota adeguata del recovery fund e rilanciando le ambizioni della nuova Strategia europea per la biodiversità». «La crisi climatica – conclude – è solo l’altra faccia della crisi biologica che stiamo vivendo: solo risolvendo entrambe potremo garantirci un futuro di prosperità».

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