Migranti, dodici Paesi hanno scritto oggi alla commissione europea. Il modello Orban dei muri anti-migranti tiene banco in Europa. L'Unione, attraversata da timori di flussi fuori controllo e dalla minaccia di ingressi di terroristi dall'Afghanistan, mentre i numeri degli sbarchi hanno già ripreso a salire oltre i livelli pre-pandemia, preme per blindarsi alzando recinzioni. Una dozzina di Stati membri (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca) ha scritto a Bruxelles domandando di finanziare «in via prioritaria» ed in «modo adeguato» le barriere fisiche ai confini, definite «un'efficace misura di protezione nell'interesse dell'intera Ue» e del funzionamento dell'area Schengen.
Migranti, lettera di 12 Paesi a Bruxelles
Gli ultimi a mettersi all'opera in ordine temporale, a causa degli afflussi dalla Bielorussia, sono stati Lituania e Polonia, ma vari Paesi Ue già possono vantare barriere di filo spinato, dai tempi della grande crisi migratoria del 2015-2016.
L'Italia sollecita Bruxelles
Roma a dire il vero si è tenuta ben alla larga dalla proposta dei dodici, preferendo piuttosto sollecitare Bruxelles sulle partnership con i Paesi terzi, in una lettera assieme agli altri componenti del gruppo dei Med5 (Spagna, Malta, Grecia, e Cipro). Servono «ulteriori sforzi in collaborazione con i Paesi di origine e transito su questioni di interesse comune», con «progressi tangibili nei finanziamenti» e una «maggiore concretezza e certezza sul percorso» in tempi brevi, «giorni o settimane», hanno scritto i Paesi della fascia Mediterranea, respingendo anche l'ipotesi di spacchettare il negoziato sul Patto per l'asilo, come proposto dalla presidenza di turno, più attenta agli aspetti della sicurezza che a quelli della solidarietà. «L'Unione europea deve colmare il ritardo fin qui accumulato, sviluppando, in tempi rapidi e con azioni concrete, gli impegni assunti sul fronte dei partenariati strategici con i principali Paesi del Nord Africa, a partire da Libia e Tunisia», ha insistito la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese, subito rassicurata, o almeno in parte, da Johansson. «I piani d'azione sono quasi tutti pronti», ha spiegato la svedese, ammettendo però che i «fondi comunitari sono limitati».
«Non possiamo spendere più soldi di quelli che sono stati stanziati dagli Stati membri», ha avvisato la commissaria, in questi ultimi giorni divisa tra i tentativi di ottenere più impegni dai 27 per i reinsediamenti dei profughi afghani a rischio e le notizie di respingimenti violenti dei profughi ai confini di Grecia e Croazia. «I report pubblicati su quanto avviene sono scioccanti - ha chiarito Johansson -. Occorre un'indagine, ma quanto riportato sembra indicare un qualche tipo di orchestrazione della violenza alle frontiere esterne, e sembrano esserci prove convincenti di un uso improprio dei fondi europei, che devono essere approfondite». Denunce su cui ora Bruxelles vuole vederci chiaro: ne va della «reputazione dell'Europa».