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Il Mattino

New York, spari in metropolitana. I testimoni: «Intrappolati nel vagone, i feriti venivano calpestati»

di Flavio Pompetti
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 13 Aprile 2022, 07:04 - Ultimo agg. : 07:41
4 Minuti di Lettura

Il racconto più puntuale lo fa con voce rotta dalla paura Yav Montano, uno dei passeggeri che era a bordo della carrozza in cui a un certo punto è iniziata la sparatoria nella metro di New York.  Appena uscito dalla stazione sotterranea Yav prende il telefono in mano e ripercorre quegli istanti interminabili. «Eravamo quasi arrivati alla stazione della trentaseiesima strada - dice c'era stato un travaso di passeggeri da un altro convoglio e a bordo c'era davvero un affollamento quasi mai visto. Ho sentito la prima esplosione dell'ordigno; ho visto immediatamente il fumo e poco dopo ho sentito gli spari. Poi c'è stata la confusione più totale. I passeggeri si sono tutti ammassati verso il fronte del vagone dove mi trovavo io, ma le porte, anche quelle che comunicano tra una carrozza e l'altra, erano già bloccate, come accade sempre nei casi di emergenza. Ho visto diverse persone che cercavano di aprirle: in tanti sono piombati nella disperazione perché non si poteva uscire da quello spazio stretto, con il sangue che già macchiava il pavimento, e il fumo che toglieva il respiro e ci aveva reso ciechi». 

APPROFONDIMENTI
Video
Foto

New York, attentato in metro: caccia al sospettato Frank James, è un afroamericano di 62 anni. Sul web postava video contro il sindaco

 


L'INCUBO SUL VAGONE PIENO
L'attacco è avvenuto nel mezzo dell'ora di punta del pendolarismo, mentre la metropolitana era piena di persone che andavano al lavoro, e di studenti che si affrettavano per arrivare a scuola. Come Cemile Toseglu, una diciassettenne al terzo anno del Brooklyn Tech, la scuola di eccellenza che diploma futuri ingegneri ed architetti: «Ho visto una donna cadere a terra, spinta dalla massa di persone che dietro di lei cercavano di allontanarsi il più possibile dallo sparatore. L'hanno calpestata in mezzo alle grida, e la stessa sorte è toccata poco dopo anche a me». Qualcuno dei passeggeri ha visto l'attentatore. Sono le stesse persone stralunate che si notano nei video registrati sulle banchine della stazione, quando finalmente il treno si è fermato e i passeggeri hanno avuto la possibilità di uscire dalla gabbia di fumo e di sangue. Hanno perso le scarpe o qualche vestito nella calca, c'è chi sanguina da una gamba e chi si deve appoggiare a un pilato per reggersi in piedi. Raccontano ai poliziotti ciò che hanno visto e aiutano gli agenti a ricostruire l'identikit di chi ha sparato.


IL FINTO OPERAIO ARMATO
Una giovane che desidera restare anonima lo ha visto da vicino quel giovane che ha sparato all'impazzata: «Era seduto in fondo allo scompartimento, vestito con la casacca gialla fosforescente dei manutentori della metro. Ho visto che aveva a fianco a sé una valigia, forse quella dalla quale ha poi estratto la granata lacrimogena e l'arma». La divisa gialla ha confuso tutti: «Ho pensato che fosse un impiegato della società municipale dei trasporti ha detto uno degli altri viaggiatori a bordo della carrozza. Ho continuato a pensarlo anche quando ha fatto esplodere il fumogeno. Nella confusione ho persino pensato che potesse trattarsi di una regolare operazione di manutenzione, per quanto folle. Solo il rumore delle pallottole, e poi le urla degli altri, mi hanno risvegliato dal torpore e convinto di quello che stava davvero accadendo». Nei video, comunque, si vedono anche scene di confortante solidarietà. Passeggeri che aiutano chi non può camminare, che tentano di prestare i primi soccorsi ai feriti, per fortuna tutti in condizioni stabili negli ospedali già a metà giornata. Invisibili sono invece le ferite più profonde che un attentato come questo infligge ai superstiti, ma anche all'intera cittadinanza. Menomazioni meno visibili a prim'occhio, ma molto incisive nel lungo termine, come anticipa la testimonianza di Brenner, un'insegnante che viaggiava a bordo del convoglio per raggiungere la scuola elementare nella quale lavora da quasi vent'anni: «Sono nata e cresciuta a New York, e vivo nello stesso quartiere di Brooklyn dove ho abitato da piccola con la mia famiglia. Mi sono sempre ritenuta: New York tough, cioè una dura, resistente alle asperità della vita. Oggi però sento di aver ricevuto un colpo doloroso, e non so quanto mi ci vorrà a riprendermi. Avevo diradato i viaggi in metropolitana in questi due anni di Covid, e solo da poco avevo ripreso il ritmo quotidiano di due corse per andare e tornare dal lavoro. Ora non me la sento di tornare sottoterra per almeno il resto della settimana. E dopo? Dopo chi lo sa?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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