Restituite calze e mutande, non ne abbiamo abbastanza. L'esercito norvegese ha diffuso un nuovo ordine fra i soldati: al termine del periodo di leva, i cadetti dovranno riconsegnare non soltanto l'uniforme ma anche la biancheria intima ricevuta dall'apparato della Difesa, che sarà pulita e ridistribuita alle nuove reclute. Dai boxer ai reggiseni, nessun capo è escluso. La ragione non è solo la volontà di diventare (ancor) più sostenibili, esplorando nuovi orizzonti dell'economia circolare, ma in prima battuta la difficoltà nelle forniture che sta mettendo a dura prova le catene globali. Compresa quella dell'abbigliamento destinato alle Forze Armate scandinave.
Con la chiusura di alcuni siti produttivi e le interruzioni nella logistica, la pandemia ha del resto creato intoppi per vari tipi di approvvigionamento a varie latitudini: negli scorsi mesi sono mancate taniche di carburante, mascherine e microchip, ma pure birre e milkshake.
Ogni anno sono circa 8mila i giovani uomini e donne che svolgono il servizio militare in Norvegia, dove vige - primo fra i principali Stati occidentali a introdurla - la leva obbligatoria universale per una durata in media di un anno.
Il Paese, che spesso ospita esercitazioni militari della Nato, rappresenta un fronte particolarmente sensibile per gli equilibri geopolitici europei, visto che condivide 197 chilometri di frontiera con la Russia. Negli ultimo otto anni ha espresso pure il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, l'ex premier Jens Stoltenberg. Non è la prima volta che a Oslo la biancheria dei soldati finisce sotto la lente dei media internazionali: nel 2015 l'esercito aveva reso pubblica la volontà di sostituire tutto l'intimo in materiali sintetici con capi in cotone biologico di produzione locale, un atto di responsabilità nei confronti dell'ambiente ma anche dell'industria nazionale, spiegarono allora fonti delle Forze Armate.