Polveriera Libia, torna la minaccia degli sbarchi: «Subito aiuti economici e politici»

Polveriera Libia, torna la minaccia degli sbarchi: «Subito aiuti economici e politici»
di Valentino Di Giacomo
Domenica 20 Gennaio 2019, 08:30 - Ultimo agg. 13:16
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Sono bastate poche giornate di sole e di mare calmo per far riprendere gli sbarchi dalla Libia. Numeri ancora non allarmanti, ma da Roma la situazione è attentamente monitorata perché i flussi già prima dell'estate potrebbero riprendere a ritmi sostenuti. Già ora l'Oim - l'organizzazione internazionale per le migrazioni - rileva che nei primi 16 giorni di quest'anno 4.216 migranti e rifugiati sono entrati in Europa via mare, un dato pari a quasi il doppio rispetto ai 2.365 dello stesso periodo dell'anno scorso. Intanto da una settimana, a Tripoli, sono ricominciati gli scontri a fuoco mietendo almeno 15 vittime e oltre 60 feriti tra militari e civili. La capitale libica, come il resto del Paese, è tornata una polveriera dopo la flebile tregua tra le varie fazioni culminata lo scorso ottobre con la conferenza sulla Libia organizzata a Palermo dal governo italiano. Il pericolo concreto è che tra qualche mese, passato l'inverno, gli sbarchi possano ricominciare con numeri nuovamente elevati alla luce della costante situazione di instabilità nel Paese nordafricano che impatta in maniera decisiva sui flussi.
 
Le ragioni dell'impennata delle partenze dei migranti delle ultime ore sono dovute a vari fattori: il bel tempo, la ripresa dei combattimenti, ma anche l'insofferenza del governo di Tripoli per le continue ingerenze straniere. Nei giorni scorsi il Generale Haftar, leader dell'Est libico, ha avviato un'operazione militare nel Sud del Paese giustificandola come un'azione finalizzata a proteggere i residenti dai gruppi terroristici che imperversano nella zona. A sostegno del Feldmaresciallo anche la Francia come riportato dal portavoce di Haftar - che ha sorvolato l'area con i propri caccia «Dassault Rafale» sostenendo i raid militari del Generale. Un appoggio francese, l'ennesimo, che ha finito per isolare ulteriormente il governo di Tripoli guidato da Fayez al Serraj, un premier sempre più debole e che negli ultimi giorni ha difficoltà anche a fronteggiare gli attacchi nella capitale partiti dalla Settima Brigata proveniente da Tarhuna. «È evidente spiega una fonte del ministero degli Esteri di Tripoli che l'appiattimento dei francesi per rafforzare Haftar porta con sé la conseguenza di indebolire ulteriormente la posizione di Serraj. Senza un accordo tra Francia e Italia sul futuro della Libia la situazione resterà sempre in bilico nel nostro Paese». A Roma, gli analisti impegnati sul dossier libico, non escludono quindi che il governo di Tripoli abbia intenzione di utilizzare anche l'arma degli sbarchi per ricevere maggiori aiuti dall'Italia non solo a livello economico, ma soprattutto un sostegno politico agli occhi della comunità internazionale. Una possibile volontà di lasciar partire i gommoni, ma anche una necessità dal momento che il governo della capitale ha difficoltà a controllare le partenze essendo già impegnato a salvare la propria stessa esistenza dagli assalti degli ultimi giorni.

Eppure il governo italiano non ha intenzione di schierarsi con una delle parti in causa nella consapevolezza che il futuro della Libia non passerà soltanto da Serraj e Haftar. Un principio che l'Italia ha mantenuto quando a capo dell'intelligence c'erano Alessandro Pansa (Dis) e Alberto Manenti (Aise), sulla cui scia si stanno muovendo in continuità anche i nuovi direttori delle agenzie dei Servizi segreti. Un equilibrio necessario anche in seguito alla conferenza di Palermo che ha deciso di rilanciare con maggior convinzione la road-map che porterà alle elezioni. La maggioranza della popolazione libica, nonostante siano passati ormai otto anni dalla destituzione di Gheddafi, è infatti ancora divisa tra gheddafiani e anti-gheddafiani, oltre alla miriade di fazioni e tribù. Negli ultimi giorni è tornato a far sentire la propria voce anche il figlio dell'ex Rais, Saif al Islam, che ha lanciato un appello per accelerare il processo elettorale e porre fine al caos nel Paese. L'obiettivo del secondogenito dell'ex leader libico sarebbe candidarsi alle future elezioni presidenziali, ipotesi complessa dal momento che sul suo capo pende una condanna per genocidio scontata solo parzialmente, ma nell'imprevedibile panorama libico è impossibile escludere ogni genere di sviluppo.

Uno scenario di lungo e di breve periodo, è in questo mutevole contesto che il governo italiano deve muoversi con la dovuta cautela.

A febbraio, l'inviato dell'Onu, Ghassan Salamè, è deciso ad intavolare l'ennesima conferenza di pace e chi ha maggior fretta ad una soluzione è proprio l'Italia. Da un lato bisogna salvaguardare la leadership sul dossier libico in mani italiane, ma soprattutto fronteggiare il pericolo di nuovi sbarchi. Con l'arrivo della primavera sarà molto più complesso arginare gli arrivi. Il flusso degli ultimi giorni, oltre al tragico naufragio, sono solo una pericolosa avvisaglia di ciò che potrebbe accadere tra pochi mesi.

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