Costringe il figlio a unirsi alla jihad e a partire per la Siria: a processo con rito immediato

Costringe il figlio a unirsi alla jihad e a partire per la Siria: a processo con rito immediato
Martedì 7 Agosto 2018, 13:48 - Ultimo agg. 9 Agosto, 09:01
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MILANO Quel figlio partito per la Siria, e arruolato nella jihad, era il suo orgoglio, il suo vanto. Tanto che ogni mese continuava a spedirgli la mancia, dai 200 ai 400 euro, che gli dava quando abitavano insieme a Fenegrò, nel comasco. Ora Sayed Fayek Shebl Ahmed, cinquantuno anni, sarà processato con la formula del rito abbreviato: l’ex mujaheddin di origine egiziana, arrestato nel gennaio scorso dalla Digos di Milano, deve rispondere di associazione con finalità di terrorismo. Stessa accusa mossa nei confronti del figlio Saged, 23 anni, anch’egli destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere ma mai eseguita in quanto attualmente sarebbe in Siria a combattere come foreign fighter. Sayed Fayek Shebl Ahmed, detenuto a Rossano in provincia di Cosenza, potrà partecipare in video conferenza all’udienza fissata per prossimo 1 ottobre davanti al gup Stefania Pepe.
«TALIS PATER»
 Secondo le indagini coordinate dal pm Enrico Pavone e dal responsabile dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili, l’ex mujaheddin ha tentato in ogni modo di convincere il figlio maggiore a partire per in Medio Oriente. Lo ha forgiato a sua immagine ed era fiero di avere un «martire in famiglia». Tutto il contrario del secondogenito, il ventiduenne Hamza, definito dall’uomo un «cane che è fidanzato con una sporca italiana» e che vuole vivere all’occidentale.
Nell’ambito dell’operazione “Talis pater” è emerso che il figlio ventitreenne è partito dall’Italia per la Siria il 30 giugno 2014 per unirsi alla brigata «Nour Dine Al Zenki», confluita con altre formazioni jihadiste nell’organizzazione terroristica «Hayiat Tahir Ash Sham». Gruppi con una visione vicina ad Al Qaeda a cui il padre era legato. Tempo dopo, però, il ragazzo ha mostrato simpatie per l’Isis e questo gli è costato l’allontanamento dalla brigata. Sayed Fayek Shebl Ahmed, molto imbarazzato, ha dovuto intercedere con i suoi contatti per convincerli a riprendere il figlio tra le proprie fila. Una questione di orgoglio per Sayed e rieducativa per il primogenito. Quando Saged si è ferito gravemente a causa di una mina, la madre ha accusato il marito di averlo mandato lì senza conoscere la vera situazione del Medio Oriente ma lui ha risposto che comunque sarebbe finito in carcere visto che si drogava e che la sua «intenzione era che lui andasse là per purificarsi, per diventare un essere umano». 
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