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Profumi, la Provenza in crisi per colpa del clima: fioriture a rischio nella città riferimento per i grandi brand

I cambiamenti ambientali decimano la produzione e fanno schizzare i costi

Profumi, la Provenza in crisi per colpa del clima: fioriture a rischio nella città riferimento per i grandi brand
Profumi, la Provenza in crisi per colpa del clima: fioriture a rischio nella città riferimento per i grandi brand
di Vittorio Sabadin
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 26 Febbraio 2023, 07:33 - Ultimo agg. : 27 Febbraio, 08:49
4 Minuti di Lettura

I mutamenti climatici stanno mettendo a rischio le coltivazioni dei fiori che vengono usati per creare i profumi. Si teme che i prezzi salgano in modo significativo e che l'industria abbandoni il ricorso alle materie prime naturali per usare fragranze sintetiche prodotte in laboratorio. La città francese di Grasse, che è considerata la capitale mondiale dei profumi, sta già registrando i primi problemi: siccità prolungata seguita da precipitazioni eccessive, ondate di calore e improvvise gelate fuori stagione hanno reso la coltivazione dei fiori sempre più tormentata. Nell'ultima stagione il raccolto di tuberose è diminuito del 40% a causa delle alte temperature, ma tutte le coltivazioni soffrono e cominciano a essere in pericolo.

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Situata in Provenza a pochi chilometri dal mare Mediterraneo, Grasse ha sempre goduto di un microclima estremamente favorevole per la coltivazione della rosa centifolia, del gelsomino e della lavanda. Nel Medioevo era un centro rinomato per la lavorazione della pelle, ma tutto cambiò grazie a Caterina de' Medici, che nel 1533 andò in sposa al futuro re di Francia Enrico di Valois quando avevano entrambi 14 anni, e partì da Firenze con il suo profumiere personale, Renato Bianco, che divenne poi famoso come René le Florentin. Passando per la Provenza dopo essere sbarcati a Marsiglia, Caterina e il suo esperto capirono che quella regione aveva il clima ideale per le rose centifolie che si coltivavano a Firenze, le fecero poi coltivare a Grasse e crearono così la base di tanti profumi straordinari che ancora si usano oggi, come Chanel N. 5.

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ

Nel 2018 l'Unesco ha inserito i profumi di Grasse nella lista del patrimonio culturale immateriale dell'umanità, ma ora i produttori che difendono questo patrimonio si sentono minacciati: al danno dei mutamenti climatici si potrebbe sommare la volontà della grande industria di approfittarne per cambiare le cose e rompere con le tradizioni del passato. I problemi non sono solo a Grasse. In tutto il mondo le materie prime con le quali si fanno i profumi sono messe a rischio dai mutamenti climatici. La vaniglia, ad esempio, è coltivata quasi tutta nel continente africano e l'80% arriva dal solo Madagascar. Una prolungata siccità e un ciclone hanno causato nel 2017 un crollo della produzione, portando il prezzo a superare i 600 dollari al chilo. Il sandalo indiano ha raggiunto prezzi stratosferici. L'Iris pallida, coltivata nel Chianti fiorentino e nel Valdarno, ha ormai superato gli 80.000 euro al chilo, perché ci vogliono sei anni prima che maturi e sia pronta ad essere usata in profumeria: con i cambiamenti del clima, il raccolto è sempre più a rischio e sempre più scarso.

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ALTERNATIVE ARTIFICIALI

Benoit Verdier, cofondatore della casa di profumi Ex Nihilo, ha confessato al Guardian che la sua azienda sta pensando di ricorrere ad alternative sintetiche: «Il cambiamento climatico ha detto potrebbe non avere un impatto sull'odore del profumo, ma influenzerà il prezzo. La visione romantica del profumo vuole che sia naturale, e c'è qualcosa di mistico intorno a un posto come Grasse, perché fa sognare le persone. Ma è sempre meno sostenibile rispetto al creare i profumi in laboratorio».
Le colture per le essenze richiedono molta acqua e terra, ma i produttori di Grasse non sono d'accordo con chi insinua che non rispettino l'ambiente. Usano quasi tutti l'irrigazione a goccia e le loro coltivazioni incidono solo per il 5% dell'uso complessivo dell'acqua nella regione. Armelle Janody, combattiva presidente dell'associazione che riunisce i produttori di fiori, si domanda come sarà possibile «avere il sostegno dell'industria senza perdere la nostra autonomia e sovranità» perché ci sono marchi che «vogliono associare i loro profumi alla nostra storia e al nostro patrimonio, eppure entrano e vogliono cambiare tutto. Non vogliamo essere servitori dell'industria». Il timore di Janody è che le multinazionali possano chiedere un maggiore controllo sui metodi di produzione con il pretesto di sostenere l'adattamento al clima e la salvaguardia delle risorse naturali. E da qui a produrre in laboratorio economici profumi di sintesi da vendere a caro prezzo nei negozi il passo è molto breve.

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