Putin, cosa succede ora? Il generale Camporini: «I Leopard fanno la differenza. Allo Zar non basteranno i numeri»

«I militari ucraini sanno come usare i tank, non come i russi che sono poco addestrati e guidati in modo ottuso»

Putin, cosa succede ora? Il generale Camporini: «I Leopard fanno la differenza. Allo Zar non basteranno i numeri»
Putin, cosa succede ora? Il generale Camporini: ​«I Leopard fanno la differenza. Allo Zar non basteranno i numeri»
di Marco Ventura
Giovedì 26 Gennaio 2023, 00:18 - Ultimo agg. 27 Gennaio, 08:43
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Quanto contano i carri armati, in vista dei combattimenti sul terreno in primavera?

«Impiegati in modo tatticamente corretto, sono il fondamento di una possibile vittoria in una situazione orografica come quella ucraina, che ha grandi pianure e spazi per le manovre delle forze corazzate. Ma se impiegati come li hanno usati i russi nella prima fase del conflitto, senza l’ammodernamento delle nuove tecnologie e con materiale umano non qualificato, producono soltanto perdite terrificanti in mezzi e uomini».

Il generale Vincenzo Camporini, responsabile Sicurezza e difesa di Azione, ex capo di Stato maggiore della Difesa, oggi consigliere scientifico dello Iai, spiega che a fare la differenza nei prossimi mesi saranno i Leopard e non gli Abrams americani, «questi ultimi richiedono un sostegno logistico e addestrativo particolarmente complesso, ci vorrà tempo per dotarne gli ucraini». Alcune settimane, invece, per i Leopard di fabbricazione tedesca, che «in mano a Kiev sarebbero tutta un’altra cosa rispetto all’uso dei tank fatto finora dai russi, perché gli ucraini hanno imparato a fare la guerra moderna e il Leopard 2 può diventare l’elemento che ribalta il rapporto di forze sul campo, a prescindere dal numero dei soldati».

 

Gli ucraini fanno bene a chiederne non dieci o venti, ma centinaia?

«Certo, non ne basta qualche decina.

Ma c’è il problema dell’eterogeneità del materiale potenzialmente disponibile, tra Challenger inglesi, Leopard tedeschi e Leclerc francesi. I carri armati non sono come le automobili: sono intrinsecamente diversi l’uno dall’altro, l’addestramento necessita di tempo e non c’è interoperatività, occorrono squadre diverse a seconda del modello». 

I carri armati russi sono di livello inferiore?

«Quelli attualmente in linea, sì. Ma i russi hanno anche i T-14 Armata, per quanto non sappiamo precisamente quanti siano né fino a che punto siano efficienti. Nell’ultima parata militare a Mosca ne sono sfilati tre, il quarto non è partito. Sono mezzi di ultimissima generazione, ma in un numero e con livelli di efficienza da verificare. Le prime prove non sono esaltanti».

Quanto conta l’intelligence?

«L’intelligence è tutto. Se gli ucraini sono riusciti a sapere che c’erano 600 militari russi a Makiivka, e colpirli, è grazie a informazioni d’intelligence. Non basta avere infiltrati e collaboratori; ci vuole l’intelligence elettronica e delle comunicazioni. Il vantaggio dell’Occidente qui è stratosferico. Se guardiamo su una qualsiasi app le tracce dei velivoli da ricognizione radar, elettronica, attorno all’Ucraina, sarei sorpreso se questa raccolta di informazioni non andasse a beneficio degli ucraini. Oggi è possibile identificare in questo modo non solo il mezzo che si ha di fronte sul terreno, ma la sua posizione al metro e, in base alle emissioni, se parla con la radio o altro…».

I russi stanno preparando una grande offensiva in primavera?

«L’incremento degli organici dell’esercito russo è oggettivo. La Russia ha un potenziale demografico quattro volte superiore all’Ucraina. Bisogna però vedere se il personale militare è opportunamente equipaggiato e addestrato, e pare di no. A favore di Putin c’è la “fatica” a cui sottopone la popolazione ucraina, superata grazie a uno spirito nazionale di formidabile rilevanza che è anche il paradossale risultato politico “ottenuto” da Putin. Le difficoltà dimensionali, Kiev le ha superate finora grazie agli aiuti occidentali. Che devono continuare. Il problema per noi è più politico e riguarda le diversità di vedute tra gli alleati, che però secondo me stiamo superando. In Cecenia abbiamo visto un esercito russo condotto secondo una disciplina ottusa, quegli errori non sono stati superati. La Russia ha un grande potenziale numerico, ma scarso prestazionale».

Come giudica l’indecisionismo della Germania sui tank?

«Ce lo dovevamo aspettare. È sorprendente, però, che la Germania di Scholz non abbia costruito una narrativa che potesse preventivamente sostenere le posizioni che via via ha assunto. Del resto, basta vedere quanto sta succedendo rispetto all’ex cancelliere Schroeder: una difesa improponibile da parte di un mondo politico tedesco che non sembra in grado di prendere le distanze in modo deciso da un personaggio che non saprei definire altro che squallido».

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