Putin, lo zar ostaggio del passato: il sogno di far rinascere l'Unione sovietica e la paura di trovarsi dirimpettario della Nato

Solo, malato secondo alcuni, ma ancora con l'appoggio dei poteri forti. La lunga serie di errori commessi potrebbe però mutare gli scenari

Putin, lo zar ostaggio del passato: il sogno di far rinascere l'Unione sovietica e la paura di trovarsi dirimpettario della Nato
Putin, lo zar ostaggio del passato: il sogno di far rinascere l'Unione sovietica e la paura di trovarsi dirimpettario della Nato
di Marco Ventura
Giovedì 23 Febbraio 2023, 23:56 - Ultimo agg. 24 Febbraio, 11:01
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Prigioniero di un sogno, quello di riconsegnare ai posteri un Impero. Putin ha avviato una guerra ideologica e religiosa, imperiale, nostalgica. La più insidiosa. E che vinca o perda, consegnerà ai pronipoti una Russia minata dalla vergogna di un conflitto ingiusto e fratricida, lordato da crimini di guerra che sono sotto gli occhi del mondo. Ricorre oggi un anno di orrori, con decine di migliaia di morti tra civili e militari. E lo stupro di un Paese indipendente, che tale è rimasto. In molti si sono via via esercitati a capire che cosa vi sia nella testa di Putin. O nella sua mente. Qualcuno ha perfino ipotizzato che sia malato e che la malattia abbia provocato un corto circuito che gli ha fatto ordinare l’invasione. «La Russia ha due soli alleati: il suo esercito e la sua flotta», è il motto di Alessandro III, il suo Zar preferito, inciso sotto la statua inaugurata proprio da lui nel 2017 a Yalta, là dove fu ridisegnato il mondo riemerso dopo la Seconda guerra mondiale e dove oggi si gioca, di nuovo, il futuro non solo dell’Europa. Bisognava capirlo dalla campagna di avvelenamenti di nemici e dissidenti, e uccisioni inspiegabili e spiegabilissime, fin nel Regno Unito, e dalla violenza dell’intervento in Siria con l’avallo delle armi chimiche di Assad.

Putin è un autocrate, leader di un grande Paese che è anche potenza nucleare. Illuminanti le quattro ore di intervista con Oliver Stone, in cui espone con precisione le sue idee. Le sue aspirazioni e i suoi incubi... La sindrome dell’accerchiamento da parte della Nato, e il tentativo di evitare che l’Ucraina, percepita come parte della Russia storica, si stacchi dalla Madre Russia e si associ all’Unione europea e rientri nell’orbita Nato. Col risultato, però, di spingere Svezia e Finlandia ad abbandonare la neutralità e ad aderire all’Alleanza. Colpisce che non vi sia una sostanziale differenza tra il primo discorso di Putin il giorno dell’invasione, e l’ultimo davanti all’assemblea federale. Nel mezzo, la sua immagine è stata quella di un leader solitario, che gode ancora della fiducia del consenso maggioritario nella Federazione ma non sappiamo quanto gravato dal polso di ferro del regime, e tuttavia preoccupato di marcare e mantenere le distanze con i suoi più stretti collaboratori. 
Basti pensare al video e alle foto di Putin a capotavola di un tavolo lunghissimo in fondo al quale siedono timorosi, rimpiccioliti dalla prospettiva, il ministro della Difesa Shoigu e il capo di stato maggiore Gerasimov.

Eccolo di nuovo, Putin, nella desolazione della preghiera in solitudine, lui e un pope, in una delle chiese del Cremlino in occasione della Pasqua ortodossa. E, ancora, nel mezzo di un discorso tra militari in tenuta da combattimento, tra i quali però si riconoscono quelli che già in passato hanno fatto da corredo ad altri video: persone fidate, forse del suo entourage della sicurezza. 

 

LA “SCOMMESSA”

Un uomo solo (in tutti i sensi) al comando. Forte di un consenso che regge, nella Federazione, grazie al rigido controllo dei media e alla presa personale sugli apparati militari e di sicurezza. Le parole d’ordine sono sempre le stesse: la rivendicazione di una supposta supremazia morale sull’Occidente “degenerato”, arrendevole con gli omosessuali e allergico alle armi. Fin dal primo momento, Putin ha scommesso sulla debolezza del governo ucraino, addirittura appellandosi al popolo di Kiev per rovesciare Zelensky, che invece si è imposto come eroe nazionale. O su quella dell’Occidente, che considera diviso all’interno e sensibile al ricatto energetico. Soprattutto l’Europa. 
Dev’essere stato un risveglio scomodo, per Putin, scoprire che Zelensky era uno statista e non un comico o un fantoccio, e che il popolo ucraino confermava col suo coraggio il voto per l’indipendenza del 1991 (maggioritario in tutte le regioni, compresi Donbass e Crimea) e addirittura cementava, per effetto dell’invasione russa, il proprio sentimento di identità nazionale, la volontà di indipendenza, e la vicinanza all’Occidente. Per non parlare della Chiesa ortodossa di Kiev, anch’essa ormai liberata dalla sudditanza rispetto a Mosca e al patriarcato pro-Putin, imperialista e guerrafondaio, di Kirill.
Nel corso della guerra, Putin ha dovuto affrontare le critiche interne del suo ex chef e capo dei mercenari di Wagner, Prigozhin, lo stillicidio di lamentele dei blogger militari e la delicata partita degli equilibri interni alla macchina militare. E l’isolamento internazionale. E ha dovuto gestire l’urto delle sanzioni. Segnali di malumore arrivano anche dall’interno del Cremlino. Per il momento lo Zar è in sella, saldo nella plancia di comando della Federazione. E i militari obbediscono ai suoi ordini. Perché la Russia è la Russia. Ma fino a quando?

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