L'appello degli italiani in Venezuela: «Il governo si schieri o rischiamo»

L'appello degli italiani in Venezuela: «Il governo si schieri o rischiamo»
di Luca Marfé
Mercoledì 6 Febbraio 2019, 12:00 - Ultimo agg. 16:25
6 Minuti di Lettura

Stupore, quasi incredulità. E rabbia. Sono questi i sentimenti che dominano la scena italo-venezuelana di Caracas e dintorni. Ai rischi e alle paure di un orizzonte quanto mai incerto si sommano i tentennamenti di Palazzo Chigi. Quelli di un governo, cioè, incapace di esprimere una posizione chiara, netta e soprattutto in linea con quella di un'Unione Europea le cui dichiarazioni sono state addirittura bloccate a Bruxelles proprio dall'Italia.

Nella terra di Bolívar, le atmosfere sono quelle di un tradimento. Marco Lepore ha 51 anni, ma ne dimostra venti di meno. Nella vita fa l'imprenditore, è sposato e ha due figli piccoli per i quali sogna un futuro migliore. Già da tempo, nelle vesti di attivista indipendente, si batte tra iniziative e manifestazioni nella speranza che nel Paese si materializzi una svolta. Lui che di scossoni all'ordine pubblico ne ha vissuti tanti, e in prima linea, inizia col descrivere strade paradossalmente quiete. «In questo momento, la situazione a Caracas è piuttosto tranquilla. Nei quartieri poveri, però, è un delirio di arresti nei confronti di chiunque sia contro Nicolás Maduro. Il presidente ad interim Juan Guaidó sta denunciando questi fatti, molto gravi, ma ovviamente non gode ancora del controllo del territorio. Altrove, invece, il clima è completamente diverso perché c'è la questione degli aiuti umanitari».
 


L'altrove cui si riferisce è Cúcuta, città di frontiera tra Venezuela e Colombia. È li che il presidente (rivale) Duque Márquez ha disposto una carovana di risorse cui, tuttavia, viene negato l'accesso. «Maduro non li lascia entrare perché significherebbe ammettere di fronte al mondo intero che in Venezuela sia in atto una crisi gravissima. Quindi tira dritto per i suoi interessi, mentre la povera gente continua a morire di fame».

Sul governo italiano, è deluso, ma cauto. «Mi sarei aspettato una mossa in linea con la stragrande maggioranza dei Paesi europei. Di fatto, tutti. Tutti tranne noi. Credo che la figuraccia la stia facendo il Movimento 5 Stelle, dando respiro al dittatore Maduro. Sono convinto però che, anche grazie alla presa di posizione netta del presidente Mattarella, l'Italia si schiererà prima o poi al fianco di Guaidó e soprattutto della democrazia, quella vera».
 
Ci va invece giù molto più pesante un altro imprenditore italiano, assai noto a queste latitudini, che per ragioni legate alla sicurezza sua e della sua famiglia preferisce rimanere nell'anonimato: «Serviva un gesto di coerenza. Coerenza nei confronti delle proprie comunità: da una parte, di quella italo-venezuelana e, dall'altra, di quella di un'Unione Europea che per una volta aveva le idee chiarissime. Coerenza che, a quanto pare, questi quattro ragazzi al governo non conoscono».

Non solo. Rincara la dose con la voce strozzata da un misto di sgomento e frustrazione: «L'Italia non deve scappare. Non deve nascondersi dietro al dito delle nostalgie del 5 Stelle di turno. Che almeno scelga da che parte stare, evitando per una volta una figura da pagliacci».

Interessante anche la sua fotografia di Caracas: «La sensazione è quella di vivere in un Paese dove c'è un'economia di guerra. I costi sono elevatissimi e cambiano di giorno in giorno, addirittura di ora in ora. Questo per la fluttuazione del cosiddetto dollaro parallelo che non ha nulla a che vedere con il cambio di cui leggete attraverso i dati ufficiali. Insomma, da un punto di vista economico, siamo al disastro. La quotidianità, invece, è persino surreale per quanto tra virgolette serena. La gente continua a vivere come se nulla fosse, i bambini vanno a scuola e gli ospedali, per quel poco che funziona, funzionano. Il traffico è molto scemato, chi non ha necessità di muoversi preferisce restarsene chiuso in casa, ovviamente per motivi di sicurezza. Insomma, grande fermento politico, ma città - si fa per dire - tranquilla».

Maurizio Portagnuolo ha 65 anni, 40 dei quali trascorsi nella patria di Bolívar, ed è dirigente in una ditta di trasporti internazionali. Descrive quella che definisce una «tensa calma», una calma tesa, appunto. «È come se ci fosse un coprifuoco non dichiarato. Alle 7 di sera fa buio e la città si svuota al ritmo della gente che allunga il passo per rincasare. La sensazione è che possano esserci risvolti imprevedibili da un momento all'altro», spiega con aria grave. Anche lui si dice deluso da Di Maio e compagnia e sottolinea i rischi futuri per un'Italia evidentemente in ritardo rispetto al resto d'Europa. «Le vere ritorsioni sono quelle che arriveranno per noi nel momento in cui il regime di Maduro verrà spazzato via. Il Venezuela avrà un bisogno pressoché disperato di grandi opere e c'è da scommettere, ahinoi, che nelle gare di appalto le nostre ditte non verranno neanche prese in considerazione. Il tutto a vantaggio di spagnoli, tedeschi e francesi, più coraggiosi e più lungimiranti di noi».

Un dettaglio enorme a tutto questo quadro lo aggiunge una donna. Si tratta di Giovanna Caimi, professoressa al vertice del dipartimento di italiano della Universidad Central de Venezuela, vera e propria istituzione simbolo della cultura caraqueña. «In questo momento abbiamo un presidente costituzionale. Affermare che si sia autoproclamato, come ho letto un po' ovunque, è tecnicamente un errore». Cita l'articolo 223 della costituzione e continua: «Guaidó ha dovuto assumere il suo mandato da numero uno dell'Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano, ndr) contro l'usurpatore Maduro. La situazione, insomma, è chiarissima: un presidente legittimo, sostenuto dalla marea di un popolo che è sceso in strada, contro un presidente usurpatore che non vuole mollare la presa su una nazione oramai in ginocchio». E l'Italia? «E l'Italia o si schiera o, implicitamente, appoggia Maduro. Che, non a caso, ha ringraziato proprio l'Italia. Preferisco non commentare, davvero».

C'è anche, però, chi non è così convinto riguardo a due schieramenti, ma traccia la necessità di una sorta di scala di grigi. È il caso di Mario Schiavelli, 63 anni, professore di lingue moderne. «Vige uno stato confusionale assoluto, il Paese è spaccato in due metà. Ed è vittima da vent'anni a questa parte, oltre che di una delinquenza che ha radici più profonde, di una massiccia manipolazione del pensiero delle masse. In buona sostanza, in Venezuela si è rafforzata l'idea che il mondo sia costituito da bianco o da nero, da buoni o da cattivi. La realtà dei barrios (delle favelas, delle baracche, ndr) e la dimensione più evoluta, in qualche modo più occidentale, rischiano di non incontrarsi mai. Due sfere lontane, due rette parallele. Nessuna delle quali ha ragione a prescindere».

Ma in caso di riconoscimento pieno della presidenza Guaidó per qualcuno non ci sarebbe alcuna ritorsione nei confronti degli italiani in Venezuela. «Peggio di così? Impossibile», chiosa Schiavelli.
In totale sintonia anche la professoressa Caimi. «Non ha senso continuare a galleggiare tra falsi dialoghi e posizioni timide. Non vogliamo una guerra e non ci sarà, ma l'unico vero rischio a questo punto è che Maduro resti dov'è».

© RIPRODUZIONE RISERVATA