Dopo l'imponente partecipazione di palestinesi al funerale di ieri, oggi si attendono altrettante persone per la tumulazione nel cimitero cristiano ortodosso di Gerusalemme di Shireen Abu Akleh, «la voce della verità e della Nazione», come l'ha definita il presidente Abu Mazen. Dal palazzo della Muqata a Ramallah - affollato come non si vedeva, secondo alcuni, dai funerali di Yasser Arafat - ieri l'intera leadership palestinese ha reso omaggio all'amata reporter di Al-Jazeera. E se le dinamiche della sua morte restano ancora da chiarire, per Abu Mazen il colpevole ha un solo nome: Israele, a cui ha addossato «la piena responsabilità» dell'uccisione della giornalista.
«Ci rifiutiamo di svolgere una indagine congiunta con gli israeliani, che hanno compiuto questo crimine.
«Il proiettile - ha ribadito Ryan al-Ali dell'Istituto - è in nostro possesso ed è stato portato in laboratorio per ulteriori analisi». Alla Muqata, con accanto il premier Muhammad Shtayyeh e il ministro Hussein a-Sheikh, il presidente palestinese ha poi rivelato le prossime mosse palestinesi anticipando che il caso sarà presto sottoposto alla Corte Penale Internazionale. La reporter - che aveva anche la cittadinanza Usa «è stata uccisa - ha aggiunto Abu Mazen - perché veicolava il messaggio del popolo palestinese».
E Stayyeh ha spiegato in una intervista ad Al-Jazeera che «l'uccisione di Abu Akleh rappresenta un punto di svolta per i Palestinesi». Da Israele il premier Naftali Bennett ha invece insistito di aspettarsi una piena cooperazione palestinese per accertare le circostanze della morte di Abu Akleh.
«Ribadisco - ha detto - che ci attendiamo una cooperazione aperta, trasparente e piena relativa ai reperti. Ci attendiamo peraltro che la Autorità nazionale palestinese non faccia alcunché per confondere le indagini o per inquinare il processo di investigazione, in una maniera che non consentirebbe poi di determinare la verità».
Un punto sul quale Israele intende non cedere, anche perché, come ha spiegato l'esercito che ha aperto una inchiesta sui fatti, i soldati del commando Duvdevan erano dislocati a circa 150 metri dal luogo dove si trovava la giornalista durante gli scontri a Jenin. La Radio militare ha poi fatto sapere che l'esercito ha interrogato tutti i soldati che si trovavano nell'area in quel momento e la loro posizione è stata mappata in relazione al tiro che ha ucciso la giornalista. Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, si è detto «sconvolto» dall'uccisione della giornalista ed ha «invitato le autorità competenti a svolgere un'indagine indipendente e trasparente su questo incidente e ad assicurare che gli autori siano ritenuti responsabili».