Stop alla protesta dell'inno: la National Football League “in ginocchio” da Trump

Stop alla protesta dell'inno: la National Football League “in ginocchio” da Trump
di Luca Marfé
Giovedì 24 Maggio 2018, 17:26 - Ultimo agg. 20:48
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NEW YORK - Vietato protestare. È questa in estrema sintesi la linea sposata dalla National Football League, la Lega Nazionale di Football americano. Trump, insomma, vince la sua battaglia e costringe gli atleti a rimanere in piedi durante l’esecuzione dell’inno nazionale statunitense.

Niente più giocatori in ginocchio, dunque. Al massimo chiusi negli spogliatoi, in attesa di scendere in campo. Pena una multa salata sia per la società di appartenenza che per i singoli ribelli.

Una cosa è certa, però: non finisce qui.

Se nella forma la decisione è oramai presa, infatti, nella sostanza c’è già chi si dice pronto a rilanciare, a sfidare a viso aperto il sistema.

A fare da capofila il presidente dei New York Jets, Christopher Johnson, pronto a pagare di tasca sua eventuali ammende.

«Non mi piacciono le imposizioni. Se qualcuno dei nostri si inginocchia, ci pensa la proprietà, ci penso io personalmente, ma di certo non i giocatori». E alla domanda «Si augura che i suoi atleti lo facciano, che si mostrino caparbi?» ha risposto «Sì, certo che me lo auguro».


(Christopher Johnson, comproprietario dei New York Jets)

Johnson, peraltro, non è il solo ad alzare la voce. E mentre la notizia rimbalza tra le pagine dei giornali e gli schermi televisivi, c’è già una schiera di protagonisti che immagina nuove forme di contestazione: in campo, in piedi, ma magari con un pugno alzato, proprio come in una delle immagini più emblematiche del secolo scorso. Quella di Tommie Smith e John Carlos, entrambi statunitensi, entrambi di colore, che si ritrovarono sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi del ’68 in una posa che fece la storia del black power.

Un errore, in definitiva, parlare di “protesta dell’inno” come hanno fatto in molti. Un errore tacciare di anti-patriottismo i portavoce del disagio della comunità afro-americana. Un errore, firmato da una NFL più attenta agli incassi che alle questioni sociali, quello di imbavagliare questi ragazzi.


(16 ottobre 1968, i velocisti americani Tommie Smith e John Carlos sullo storico podio dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico)
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