Strage dei Rohingya, Aung San Suu Kyi ammette: «La situazione poteva essere gestita meglio»

Strage dei Rohingya, Aung San Suu Kyi ammette: «La situazione poteva essere gestita meglio»
di Erminia Voccia
Venerdì 14 Settembre 2018, 17:28
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L'ammissione di responsabilità è arrivata durante l'intervento al World Economic Forum in Vietnam. Davanti alla platea riunita in sessione plenaria il premio Nobel per la pace e consigliere di Stato del Myanmar Aung San Suu Kyi ha pronunciato le parole che hanno chiarito le mancanze del suo esecutivo: «Ci sono di certo dei modi in cui, col senno di poi, la situazione poteva essere gestita meglio», ha affermato la donna che ha dedicato la sua intera vita alla lotta per la democrazia in un Paese ancora sotto lo scacco del potere militare. Il riferimento è alla tragedia dei Rohingya, la minoranza musulmana vittima di una vasta operazione di pulizia etnica da parte dell'esercito, accusato anche dalle Nazioni Unite di genocidio.

La crisi nello stato di Rakhine ha costretto alla fuga almeno 700 mila civili dopo la dura repressione lanciata dai militari nell'agosto del 2017 in risposta agli attacchi dell'Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA). Il gruppo armato musulmano aveva attaccato 24 posti di blocco della polizia e una base militare causando 32 morti. Da quel momento la situazione nel Rakhine è seriamente peggiorata.

Il comitato di giornalisti indipendenti birmano The Irrawaddy riporta le parole di Suu Kyi in merito alla condanna dei due reporter che investigavano sui Rohingya. Suu Kyi ha ad Hanoi ha affermato: «La condanna non ha niente a che fare con la libertà di espressione, ma con l'Official Secret Act. Sono stati imprigionati non perché erano giornalisti ma perchè la corte ha deciso che avevano violato la legge. Se noi crediamo nello Stato di diritto, i due reporter hanno ogni mezzo per appellarsi alla sentenza e per dimostrare perché è stata ingiusta». 

Questa dichiarazione è stata definita vergognosa dall'agenzia di Stampa britannica Reuters. «È un vergognoso tentativo di difendere l’indifendibile. Sostenere che questo caso non abbia ‘nulla a che vedere con la libertà di espressione’ e che i due giornalisti ‘non sono stati condannati in quanto giornalisti’ è un deludente travisamento dei fatti», è stato il invece commento di Minar Pimple, direttore delle Operazioni globali di Amnesty International.

Duarnte il suo discorso, tornando ai Rohingya, Suu Kyi ha aggiunto: «Per garantire la sicurezza e la stabilità del Paese sul lungo termine è necessario essere giusti verso tutti. Non si può scegliere chi deve essere difeso dalla legge». La spiegazione deriva dalle sue preoccupazioni per il fragilissimo equilibrio politico in Myanmar. Suu Kyi sa che qualsiasi tentativo di esporsi potrebbe far saltare il precario compromesso raggiunto con l'esercito, che dal 2012 ha permesso una graduale trasformazione in senso democratico del Paese dopo decenni di dittatura militare. 

A settembre del 2017 Suu Kyi, leader di fatto del governo di Naypydaw, aveva detto di non essere in grado di difendere i Rohingya e di porre un freno all'offensiva dei militari. Nell'ex Birmania convivono diversi gruppi etnici e il problema delle minoranze si somma all'esistenza di due governi paralleli, quello ufficiale e quello dell'esercito che si impone su tutte le scelte politiche. Suu Kyi dunque proverebbe a venire a capo del dramma dei Rohingya guardando allo stesso tempo alla tenuta del Paese e al futuro della democrazia in Myanmar. Per questi ideali ha subito quasi 15 anni di arresti domiciliari, guadagnandosi l'appellativo di “orchidea d'acciaio”.

Riconoscere pubblicamente di aver sbagliato nel gestire la crisi è una reazione a chi l'ha aspramente criticata per il suo silenzio e la sua inerzia. Ad ottobre del 2017 l'ateneo di Oxford, dove Aung San Suu kyi si formò tra il 1964 e il 1967, aveva rimosso il suo ritratto sull'onda delle forti polemiche per la crisi umanitaria in atto nel Rakhine. Lo stesso college nel 2012 aveva riconosciuto alla leader birmana un dottorato onorario. Alcuni osservatori birmani, seppur denunciando i terribili abusi compiuti verso i Rohingya, hanno ritenuto che l'Occidente abbia guardato alla crisi sottostimando le sue implicazioni per la stabilità del Myanmar e adottando un approccio non del tutto appropriato verso complessa realtà birmana. «La crisi nel Rakhine non è qualcosa che possiamo risolvere da un giorno all'altro», ha recentemente detto Suu Kyi.
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