Tensioni in Spagna, rebus Podemos: concluso il referendum su Iglesias

Pablo Iglesias e Irene Montero
Pablo Iglesias e Irene Montero
di Paola Del Vecchio
Domenica 27 Maggio 2018, 16:37 - Ultimo agg. 28 Maggio, 14:14
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MADRID - L’alta partecipazione ha allontanato parte del rischio, ma resta da fare la conta. E, comunque finisca, il referendum indetto dal leader di Podemos, Pablo Iglesias, e dalla portavoce parlamentare e sua compagna, Irene Montero, sul proprio futuro politico - dopo il polemico acquisto di uno chalet con piscina da 660.000 euro a 40 km da Madrid, dove crescere i due gemelli in arrivo – ha già indebolito il partito degli ex indignados. E messo a nudo la fragilità della formazione viola costruita intorno alla personalità del leader con il codino. ‘Podemos c’est moi’, titola oggi El Periodico, rimandando all’equazione: Iglesias è il partito ed è isolato rispetto alla militanza. Dopo 5 giorni di consultazione che hanno interpellato mezzo milione di votanti, le urne digitali si sono chiuse alle 14, ma non sarà prima di domattina che si conosceranno i risultati. Tuttavia la trascendenza del risultato va ben oltre.  Pablo Iglesias e Irene Montero hanno posto due condizioni per restare ai posti di comando: che la partecipazione sia alta o superiore a quella dell’assemblea statale di Vistalegre II, che fu del 35% e in cui Iglesias ottenne una schiacciante maggioranza; e che il margine di ‘sì’ sulla loro continuità non lasci ombra di dubbio. Ed è questa l’incognita. 

Le basi non hanno digerito che uno strumento di consultazione democratica interna fosse usato per trasferire a loro il peso di una scelta privata che, per quanto legittima, contraddice il codice morale del partito degli ex indignados, come hanno criticato la dirigente di Podemos in Andalusia, Teresa Rodriguez, e il sindaco di Cadice, José Marian Gonzalez, detto Kichi. A storcere il naso, non solo l’ala anticapitalista del partito viola. La prevalenza dei ‘sì’ non è in discussione, soprattutto perché non ci sono alternative al segretario con il codino che, dopo il congresso nazionale, ha imposto il suo controllo ed eliminato i contrappesi in tutti gli organi collegiali di Podemos, dalla Commissione di garanzie, smantellata, al Consiglio cittadino statale, con la purga della corrente del numero 2 Iñigo Errejon. Tuttavia il voto in massa, in quanto appunto identitario per il popolo viola, lungi dal rafforzare la leadership, potrebbe essere di castigo. Per molti Pablo Iglesias, il professore di Scienze Politiche, che aveva costruito la sua immagine sulla retorica operaia, quasi ascetica – vivendo per anni nella casa in affitto della nonna, nel quartiere operaio di Vallejas, senza aver cambiato un solo mobile – ha tradito anzitutto se stesso. Oltre all’anima di Podemos, che si è scoperto disorientato e fragile, proprio nel momento in cui in parlamento arriva la mozione socialista di censura al premier conservatore Mariano Rajoy, travolto dalle pesanti condanne per la Tangentopoli ‘Gurtel’ nel Pp, con una sentenza in cui i giudici pongono in dubbio che abbia detto la verità in aula.  

La segreteria di Iglesias, paragonato al Re Sole Luigi XIV nella Francia assolutista, seppur vincente, ne esce infiacchita e il leader isolato nel suo rifugio dorato, lontano dalla gente, nel pieno di un ciclo politico convulso e con le elezioni municipali ed europee del 2019 alle porte.  Se supererà la prova del nove del voto referendario, Iglesias con la sua compagna e mano destra Irene Montero promette di dare battaglia. Ma il pericolo di convertirsi in espressione dell’establishment, nello chalet blindato contro l’assedio del gossip mediatico e con tanto di mutuo trentennale a carico, è una realtà. 
 
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