Diciotto mesi per riscrivere la storia e la geografia del mondo, sicuramente dell’Oriente.
Una finestra pericolosissima tra il congresso del Partito comunista cinese e le prossime elezioni presidenziali statunitensi.
Un lungo e teso momento in cui la Cina potrebbe definitivamente invadere Taiwan.
La rivelazione bomba arriva da attuali ed ex agenti dell’intelligence Usa e degli alleati occidentali e, neanche a doverlo sottolineare, rimbalza su tutti i siti di informazione a stelle e strisce.
Lo scenario è drammatico e paradossalmente molto semplice: se Pechino non riuscirà a chiudere il dossier Taiwan per la via politico-diplomatica, sceglierà infine, senza mezzi termini, di percorrere fino in fondo quella militare.
La visita ufficiale di Nancy Pelosi, la prima “speaker” della Camera a mettere piede a Taipei negli ultimi 25 anni, è soltanto la famosa goccia che fa traboccare il famoso vaso.
Già, perché ambizioni e intenzioni di Xi Jinping sono vecchie, persino antiche.
Nella sua ottica infatti, dal suo punto di vista chiarissima, Taiwan altro non è che una provincia ribelle, che appartiene in tutto e per tutto a lui e alla sua Cina. Come tale, dunque, va riportata all’ombra del dragone punto e basta.
E poco importa cosa ne pensi Washington, le esercitazioni militari attualmente in corso sono la prova, e l’esibizione di muscoli, che Biden e i suoi a queste latitudini non sono affatto temuti.
E che anzi, proprio per non correre il rischio che al democratico possa succedere un repubblicano assai più spigoloso (Ron DeSantis, attuale governatore della Florida e “nuovo Trump”?), la pratica vada chiusa quanto prima, prima delle prossime elezioni americane, appunto.
Il faccia a faccia tra Cina e Stati Uniti è potenzialmente di una portata tale che il confronto indiretto con la Russia e la guerra in Ucraina potrebbero presto sfumare in un ricordo addirittura banale.
Il mondo alla finestra a guardare.