Trump 2020: «Non mi piace perdere». Ma dopo l’Iran fa marcia indietro anche sugli immigrati

Trump 2020: «Non mi piace perdere». Ma dopo l’Iran fa marcia indietro anche sugli immigrati
di Luca Marfé
Lunedì 24 Giugno 2019, 10:21 - Ultimo agg. 25 Giugno, 09:52
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«Non sono pronto a perdere. Non mi piace. Non ho mai perso un granché in tutta la mia vita».

Eppure un pizzico di paura c’è, traspare. Condita e aggravata da un bel po’ di confusione.
È questo il ritratto che viene fuori da un’intervista andata in onda sulla rete televisiva Nbc.

Il protagonista? Donald Trump, naturalmente.



Si parte forte, dai sondaggi.
Joe Biden è avanti, così come lo sono altri candidati democratici.

«Non ci credo come non ci credevo al tempo di Hillary Clinton».

Su questo ha ragione. Come dargli torto, del resto, quando certi dati del 2016 lo avrebbero voluto inchiodato alla croce della sconfitta fino a poche ore dal voto. Anzi, addirittura fino al “durante”, in una colossale operazione che se riletta oggi, più che dell’informazione, ha avuto i connotati della propaganda.

Malafede a parte, le proiezioni potrebbero essere semplicemente sbagliate.
E fino a qui il suo discorso tiene.

Sulla politica, quella vera, quella determinante, però, regna il caos più totale. E questo comincia a essere evidente a tutti, persino ai suoi. Con i dossier di Esteri e Interni che mal si mescolano in una gestione più orientata al consenso che non alla reale ricerca di soluzioni concrete.

Al di fuori dei confini nazionali, è il caso dell’Iran.

Trump alza la voce, sbatte i pugni sul tavolo, viene aggredito da una Teheran che gli butta giù un drone da 110 milioni di dollari, è pronto a reagire, ma con i caccia americani già in volo, carichi e pronti per una pioggia di missili, ci ripensa.

Un presidente strillone, insomma, che tuttavia la guerra proprio non la vuole fare. Quasi a dispetto della narrativa di guerrafondaio che Cnn e compagnia gli hanno costruito attorno, in qualche modo per riabilitare la figura del suo predecessore, insignito da prestigiosi riconoscimenti di pace, ma nella sostanza guerrafondaio per davvero.

Un metodo, tornando al tycoon, che The Donald ha utilizzato spesso, esattamente come in una trattativa, lui che di trattative si dice esperto. Quello di rilanciare nei contenuti e nei toni per ottenere un risultato migliore. Qui, però, non si sta puntando alla firma di un contratto, ma si sta giocherellando con gli equilibri del mondo. E le regole, e soprattutto le conseguenze, sono diverse.

La marcia indietro sui cieli dell’Iran, dunque, è un bene per lo scacchiere internazionale, ma è un errore per un commander in chief che da questa vicenda ne viene fuori indebolito, quasi impacciato. Un lusso che mister decisionismo non può permettersi, specie sotto lo sguardo attento della sua base elettorale, sempre piuttosto agitata e da sempre affascinata dall’icona dell’uomo forte.

All’interno dei confini nazionali, invece, è il caso degli immigrati clandestini.

Soltanto una manciata di giorni fa, Trump aveva promesso una pioggia di espulsioni (“to deport” significa “espellere” e non deportare) a danno degli irregolari in almeno dieci metropoli simbolo, le cosiddette “città santuario”. Anche qui fa dietrofront e, per quanto la cosa possa far piacere in chiave umana, apre un’altra crepa nell’immagine di una Casa Bianca incerta, meno sicura di sé.
Tutto rimandato di due settimane, lasso di tempo che si spera consenta un accordo con i democratici.

A voler essere cattivi: Trump non sa cosa fare, improvvisa e sbaglia.

A voler essere buoni: Trump non rinuncia alla sua estetica furiosa, ma prova a darsi una calmata, nei fatti a fare il moderato.

Quasi un’ottima notizia.
Non per i suoi seguaci, però. Che lo hanno votato proprio perché fuori dagli schemi.
Di questo, in vista del 2020 e sondaggi a parte, farà bene a tenerne conto.

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