Trump, il dossier clima per distrarre e dividere

Trump, il dossier clima per distrarre e dividere
di Luca Marfé
Mercoledì 7 Giugno 2017, 10:10 - Ultimo agg. 21:01
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NEW YORK - Con l’uscita di scena degli statunitensi dagli accordi di Parigi sul Clima, Trump è riuscito a scatenare attorno a sé, ma evidentemente un po’ ovunque nel mondo, un vero e proprio putiferio mediatico. L’aspetto che non è stato del tutto colto, tuttavia, è che è esattamente ciò che voleva.
 


Al rientro dal suo primo viaggio istituzionale nelle vesti di presidente, infatti, il tycoon sapeva che ad aspettarlo c’era la colossale grana del cosiddetto Russiagate, con nuovi possibili coinvolgimenti di volti assai vicini alla Casa Bianca. Su tutti, quello del genero Jared Kushner.

Ne erano piene le pagine dei giornali ed una sorta di patibolo sembrava attenderlo in patria, ma, ancora una volta, Trump ha giocato con fare volutamente plateale l’oramai consueto jolly per distrarre le attenzioni della platea, in particolare di quella fascia democratica di pubblico più agguerrita nei confronti della sua amministrazione.

La mossa sul Clima è stata studiata nei minimi dettagli: prima l’annuncio dell’annuncio, rigorosamente via Twitter, poi la conferenza stampa nel Giardino delle Rose di Washington, sotto gli occhi del mondo intero. E ancora, infine, lo strappo, l’isterismo collettivo. E, grazie al montare dell’onda di critiche e turbamenti veri e propri, tanti cari saluti alle rogne interne.

In chiave squisitamente tecnica, Trump ha avuto la possibilità di scegliere tra tre diverse vie per sfilare se stesso ed il suo Paese dagli impegni sottoscritti a Parigi: la prima sarebbe stata quella di uscire entro un anno dalla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, di cui è “figlia” la COP 21; la seconda, ancor più estrema, sarebbe stata quella di contestare l’entrata stessa nell’ambito del trattato, potenzialmente viziata dalla mancata ratifica del Senato statunitense. Il tycoon, però, ha scelto la terza via, quella di fatto meno brutale: il procedimento formale di denuncia. Un processo lungo, che potrebbe durare anni, e che spinge la linea di confine tra dentro e fuori addirittura fino al 2020, anno delle prossime elezioni presidenziali.

In buona sostanza, dunque, nel breve periodo non cambia alcunché, se non il vortice di agitazioni che Trump è riuscito, con vera e propria maestria, a generare.

Ottenendo, peraltro, un incasso addirittura doppio. Perché, accanto all’elemento distrazione, si aggiunge anche quello della radicalizzazione dei due poli politici a stelle e strisce: con i suoi detrattori sempre più irritati da un lato e con i suoi sostenitori sempre più fidelizzati dall’altro.

Divide et impera, insomma.

Con l’impeachment che resta almeno per il momento a fare da sfondo ai sogni dell’opposizione ed un presidente che, che piaccia o no, si sta dimostrando tutto fuorché ingenuo.
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