Usa, il presidente Trump va già duro:
la Corea del Nord sta con i terroristi

Usa, il presidente Trump va già duro: la Corea del Nord sta con i terroristi
di Luca Marfé
Martedì 21 Novembre 2017, 17:03 - Ultimo agg. 21:45
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NEW YORK - “Stato canaglia” secondo Ronald Reagan prima e Bill Clinton poi. Estremità orientale del cosiddetto “Asse del male” secondo George W. Bush. Paese sponsor del terrorismo secondo Donald Trump. La tensione tra Washington e Pyongyang, insomma, non accenna a scemare. Tutt’altro.

L’accusa dell’amministrazione americana è rilevante nella forma, ma anche nella sostanza. E lo è perché l’ennesima mossa di questa partita a scacchi fatta di annunci e minacce è destinata ad avere delle conseguenze precise, concrete.

In passato, per la precisione nel 2008, era stato lo stesso Bush a rimuovere la Corea del Nord dalla lista degli stati fiancheggiatori del terrorismo internazionale. Ma Trump non ci sta e, dopo mesi di retorica furibonda, abbondantemente contraccambiata, alza ancora i toni e rilancia.

L’occasione è quella di un meeting tra le mura della Casa Bianca durante il quale il presidente anticipa nuove misure del Dipartimento del Tesoro. In altre parole, nuove sanzioni economiche, questa volta unilaterali, statunitensi, stanno per abbattersi sul regime di Kim Jong-un.

«Sarebbe dovuto accadere tanto tempo fa, anni e anni fa», ha ribadito in maniera quasi ossessiva.

Hanno «ripetutamente» sostenuto e finanziato i terroristi, anche attraverso «delitti maturati in terra straniera».

Un’etichetta grave, l’ennesima, che Trump appiccica agli odiati rivali. Dietro la quale si celano ragioni e strategie diverse.

La prima è forse quella più evidente: distrarre il pubblico, soprattutto l’elettorato di destra, dalla palude di politica interna nella quale sembrano essersi impantanate le promesse di un anno fa. La seconda, più attinente invece allo scacchiere internazionale, volta ad incrementare ulteriormente le pressioni sugli altri attori di questa vicenda, la Cina su tutti, affinché si adoperino per isolare Kim spingendolo a rinunciare alle ambizioni nucleari o addirittura per decretarne la caduta. La terza, senz’altro la più inquietante, è quella di preconfezionare con un minimo di anticipo un’ulteriore ragione in grado di giustificare un’eventuale aggressione militare. Legare a doppio nodo Pyongyang e terrorismo, infatti, pone Trump nella posizione di ricondurre le malefatte nordcoreane, vere o presunte che siano, a quel concetto di sicurezza nazionale che a queste latitudini è considerato sacro.

Per il momento, il portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq se l’è cavata con poco più di un “no comment”: «La DPRK (Democratic People’s Republic of Korea, ndr) tra i Paesi sponsor del terrorismo? Non è la nostra lista, chiedete agli Usa».

Non dice nulla, insomma. Forse perché, con l’Onu bloccata dai soliti veti incrociati del Consiglio di Sicurezza, non ha nulla da dire.
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