Tra Turchia e Siria l'ora delle bombe: 200 morti a Ghuta

Tra Turchia e Siria l'ora delle bombe: 200 morti a Ghuta
di Flavio Pompetti
Mercoledì 21 Febbraio 2018, 10:55
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NEW YORK - Giornata di tensione ieri ad Afrin, la provincia settentrionale della Siria che da circa un mese è oggetto di pressioni da parte dell'esercito turco. Un convoglio di circa cento mezzi leggeri, con a bordo miliziani schierati con il governo di Damasco, ha tentato di entrare nei confini della provincia. La televisione della capitale siriana ha mostrato immagini dell'attraversamento di un check point in prossimità di Ziyara, a sud est della capitale. Immediata la risposta turca, che sotto il tiro dell'artiglieria e dei bombardamenti aerei avrebbe costretto una ritirata, stando alle notizie diffuse dalle agenzie di Ankara.

I turchi il 20 gennaio hanno iniziato un'avanzata verso l'omonima capitale di Afrin, una città di circa 35mila abitanti, il cui controllo dopo l'abbandono delle forze governative nel 2012 è stato preso dai curdi dell'YPG (Unità di Protezione Popolare). I nuovi occupanti reclamano il territorio come parte delle tre province del nord della Siria per le quali hanno mire indipendentiste con il nome di Rojava, e che di fatto diventerebbe il nucleo di un insediamento curdo a sud della frontiera turca. Per il governo di Erdogan il gruppo non è dissociabile dal PKK, il Partito dei Lavoratori curdo da loro considerato un gruppo terrorista, e la sua presenza istituzionalizzata rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza nazionale.
 
L'intervento militare nella regione è quindi per Ankara un operazione dovuta per difendere l'integrità dei confini. Prendendo a prestito l'immagine della pianta dell'olivo che è la maggiore risorsa economica di Afrin, i turchi hanno chiamato la spedizione «Ramoscello di Olivo». Nelle passate settimane l'esercito turco insieme alle milizie locali che è riuscito a tirare dalla sua parte, ha assicurato il controllo della fascia di territorio a confine tra i due stati, tagliando così la strada di accesso dei curdi che dalla città turca di Kilis rifornivano il presidio dell'YPG di Afrin. La città è ora in stato di assedio, in bilico tra un'ultima spallata che potrebbe consegnarla ai turchi, e i negoziati diplomatici che dietro le quinte tentano di evitare la soluzione militare, con tutte le complicazioni che questa avrebbe tra le potenze straniere affacciate sul conflitto siriano.

A complicare la situazione, a fianco ai curdi che occupano ancora gran parte del territorio e della capitale, ci sono i resti delle milizie di al-Nusra che erano confluite nell'Isis. Più che alleati, i due gruppi sono costretti ad una convivenza forzata dall'isolamento nel quale la regione si è venuta a trovare. I curdi temono infatti gli scomodi coinquilini come un possibile, futuro nemico per il controllo della città. Sul fronte opposto le milizie filo governative che cercano di inserirsi dalle retrovie e di rompere l'accerchiamento turco non comprendono forze dell'esercito di Assad, ma sono invece accompagnate dall'ombra del Quds iraniano, che è il paese loro alleato. Il presidente turco Tayyp Erdogan ha detto ieri che l'avanzata delle sue truppe nel territorio di Afrin è stata concordata in seguito ad una conversazione telefonica che lui stesso ha avuto con Vladimir Putin, l'altro protagonista della scacchiera siriana. A tacita conferma di tale accordo, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha ieri detto che la crisi di Afrin potrà essere risolta da un contatto diplomatico diretto tra Ankara e Damasco.

Proprio alle porte di Damasco, intanto, quasi 200 civili, di cui 57 tra bambini e adolescenti, sono stati uccisi, da domenica, dai bombardamenti governativi con artiglieria, aerei ed elicotteri sulla regione della Ghuta orientale, controllata da una congerie di gruppi ribelli e fondamentalisti.

Anche gli Usa non sembrano troppo preoccupati all'idea che la tensione possa generare un terzo fronte di guerra nella regione. La diplomazia di Washington ha fatto sapere che anche se nominalmente l'YPG è un loro alleato, la Casa Bianca riconosce il diritto della Turchia di difendere i propri confini, e si limita a raccomandare moderazione.
 

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